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Valentina Marsella
Pepper ha le sembianze umane ma è un robot. Non un robot qualsiasi. Nel 2016 è stato infatti programmato per provare sentimenti e voler bene all’uomo, insomma è una macchina dotata di emotività. E soprattutto è la testimonianza tangibile che la lovotica, italianizzazione di lovotics, termine tecnico nato dalla combinazione delle parole amore e robotica, sta prendendo davvero piede. Un amore a comando, anzi a portata di telecomando, per essere amati dalla macchina alla cifra di 1700 euro. Ti abbraccia, gioca con te a carte, ti sussurra parole dolci all’orecchio, legge la mano e si trasforma in chiromante e può essere un perfetto padrone di casa accogliendo i tuoi ospiti. Ricorda il tuo volto, scatta foto e a detta dei suoi creatori sa come farti felice.
Ma se Aristotele ci insegna che l’anima e il corpo non devono essere considerati come due sostanze a sé, unite in modo accidentale, bensì come costituenti una sostanza unitaria, il corpo vivente che è sìnolo di materia (corpo) e forma (anima), la domanda sorge spontanea. Può l’intelligenza artificiale sostituirsi all’uomo? E soprattutto l’amore può essere ridotto ad algoritmi?
Stephen Hawking, uno dei più eminenti scienziati britannici, ha affermato che gli sforzi per creare macchine pensanti rappresentano una minaccia per la nostra stessa esistenza. Fu il primo a irrompere con durezza sull’argomento sostenendo che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale completa avrebbe potuto segnare la fine della razza umana. Una premonizione catastrofica e forse estrema, ma ci fa riflettere sui necessari limiti che la macchina non deve superare cancellando in toto ciò che l’azione, il pensiero e l’animo umano può compiere.
Tornando al pensiero aristotelico, il grande filosofo ci insegna che la persona umana è sinolo, cioè unione strettissima, di materia e anima. Uccisa la metafisica, uccisa l’anima, noi siamo solo il nostro corpo. Una tesi elaborata dall’empirismo, dal positivismo scientista e ai giorni nostri dalla bioetica laica. La persona, dunque, coincide con la materia. Ma se persona è solo materia, persona può essere sia qualsiasi materia biologica (animali e piante) sia la materia inanimata. Perché, infatti, assegnare maggiore dignità alla materia biologica rispetto a quella inerte? Perché la prima è viva mentre la seconda no, potrebbe essere la risposta.
Giacomo Leopardi è stato il poeta del materialismo senza compromessi: tutto ciò che esiste – sosteneva – è un tipo di materia, tra cui quello che chiamiamo l’anima. Siamo riluttanti ad abbandonare la distinzione tra materia e mente, perché non possiamo immaginare che la materia pensi. Tuttavia, per Leopardi, il fatto che pensiamo dimostra che la materia pensa.
Potremmo perderci in teorie filosofiche assai differenti, ma il dibattito che divide i sostenitori della materia e dell’antimateria, e dunque dei vantaggi e dei rischi che si celano dietro all’avvento dei robot, potrebbe non finire mai se non con la scomparsa – come paventato da Hawking – della razza umana. Quello che è certo, al momento, è che il processo di produzione dell’intelligenza artificiale sta andando verso la creazione di robot molto simili alla specie umana sia nelle sembianze che nello sviluppo dei cinque sensi. Ma, qualcuno potrebbe obiettare che manca la razionalità perché un robot possa venire considerato uno di noi. Ostacolo facilmente superabile per chi pensa che noi siamo solo materia. Androidi e cyberumani potranno ricevere la ‘patente’ di persona in futuro perché saranno in grado di svolgere funzioni apparentemente intellettive meglio di noi: calcoli, azioni precisissime – ad esempio operazioni chirurgiche – simulazioni e molto altro. E proprio qui sta il superamento della condizione umana, perché le macchine cadono in errore molto meno di noi e sono eterne, o quasi, potendo essere sempre riparate.
Quello che però anima di più la discussione è se possa esistere un legame tra robot e sentimenti, proprio come vuole dimostrare chi ha creato Pepper cuore di latta. Lui sa abbracciare, ascoltare, amare. Ma se possono avere dei sentimenti allora vorrà dire che potremo sposare un androide? Il ‘Mariage pour tous’ dovrà essere esteso anche a loro? E addirittura, ci sarà la formalizzazione giuridica di matrimoni e unioni civili tra esseri umani e robot? Non mostra dubbi sulla futura codificazione anche normativa della lovotica Lucilla Gatt, professore ordinario di Diritto civile all’Università Suor Orsola Benincasa, dove insegna anche il Diritto di famiglia nell’era digitale. Del resto dal Giappone agli Stati Uniti già negli ultimi dieci anni ci sono stati numerosi esempi di ‘ufficializzazioni’, con tanto di cerimonie nuziali, di relazioni affettive tra esseri umani e androidi. Uno scenario che, per altro, il cinema italiano aveva immaginato oltre quarant’anni fa, nel 1980, con l’indimenticabile ‘Io e Caterina’, diretto e interpretato da Alberto Sordi.
Del futuro giuridico delle relazioni tra esseri umani e robot Lucilla Gatt ne ha fatto una lectio magistralis in cui ha fatto notare come la prospettiva Law&Tech nella ricerca in ambito giuridico imponga di “non limitarsi ad esaminare l’esistente e di prevedere, invece, scenari di imminente realizzazione sebbene essi non siano stati ancora oggetto di analisi da parte della giurisprudenza. Ciò vale soprattutto per il diritto delle persone e della famiglia dove la penetrazione della tecnologia e dei suoi prodotti più avanzati – robot antropomorfi dotati di sistemi di IA, car robot e toys robot, avatar virtuali e robotici e ologrammi umanoidi solo per citare alcuni casi – è tale da aver creato ovunque nel mondo inequivocabili fenomeni di interazione emotiva dell’essere umano con la realtà tecnologica utilizzata”.
Ecco che, come chiarisce la Gatt, “ormai siamo giunti al punto da aver provocato convinzioni più o meno diffuse sulla possibilità che tra queste due entità, quella umana e quella artificiale, si generi un vero e proprio rapporto affettivo qualificabile in termini di matrimonio (o unione civile) o, addirittura, di filiazione”. Un’idea che nel bene e nel male lascia senza parole. Saprebbe di certo cosa rispondere il filosofo Hubert Dreyfus, scomparso nel 2017, critico radicale dell’intelligenza artificiale, secondo il quale nell’uomo la memoria è profondamente connessa a quella particolare forma di conoscenza data dall’interazione con il mondo esterno e dalle capacità di relazionarsi agli altri esseri umani, nella vita quotidiana. Nel saggio del ‘72 ‘Che cosa non possono fare i computer’, il filosofo, ha paragonato l’intelligenza artificiale all’alchimia: il suo successo dipende da una serie di trucchi ad hoc, perché non esiste una teoria globale che la sostenga. É possibile che l‘intelligenza artificiale raggiunga alcuni successi, ma essi, secondo la metafora di Dreyfus, sono come l’arrampicarsi su un albero per raggiungere la luna: dopo l’apparente successo iniziale arriva il triste fallimento.