contenuto a cura di
Francesco Rossi
Il viaggio di Itaca non poteva, e non può prescindere, dal raccontare l’Italia. Ma quello che inizia oggi è un viaggio che parte dal basso, non solo geograficamente. Dal basso, percorreremo tutta la penisola, per un percorso virtuale sostenuto da fatti concreti. Un viaggio alla scoperta dello stato di salute delle strutture più importanti in cui, probabilmente, saranno più i disagi che i fiori all’occhiello da appuntare al petto della classe politica. Progetti e cantieri aperti e quelli da aprire. La radiografia che uscirà fuori quasi certamente sarà quella di un paese spaccato in due: centro-sud da un lato, il nord dall’altro. In particolare, dal punto di vista primario, che è il focus principale su cui convergerà gran parte della nostra attenzione e della nostra analisi.
Un meridione da sempre ultima ruota del carro nella corsa allo sviluppo ed all’ammodernamento. La lista dei “colpevoli” è ovviamente lunga. I Savoia che hanno depredato la Sicilia facendo razzia in lungo ed in largo. Certo. Di Giovanni Giolitti, con il suo folle piano di industrializzazione del nord nel triangolo Milano-Torino-Genova lasciando al sud agricoltura e pastorizia. Certo. Tutto vero e tutto giusto. E poi? Solo quando la distanza, da fisiologica è diventata siderale, è iniziata la caccia alle streghe del tutti contro tutti come accade con gli autoscontri alle giostre. Si è cercato di recuperare il tempo perduto senza successo, almeno fino ad oggi. Così da qualche anno la “questione meridionale” è entrata con forza nel dibattito politico, rompendo gli schemi dell’indifferenza con la puzza sotto al naso. Da lì in poi è stato un crescendo rossiniano di ovvietà e frasi fatte nel disperato tentativo di intestarsi una verginità che in questa vicenda nessuno può mettere in bella mostra.
“Più risorse e investimenti per il mezzogiorno”. A proposito di frasi fatte. Quante volte avete ascoltato questo refrain? Non c’è stata campagna elettorale, non c’è stato un dibattito politico o più semplicemente un comizio di piazza, senza che questo ritornello non abbia avuto il suo momento di gloria. Un mantra con la punta da martello pneumatico, che in maniera assordante e senza sosta di continuità, riecheggia come lo stridio incessante di un’aquila in volo, stremata dalla fame. Visti i risultati, però, è stato una eco piena di balle perché a distanza di anni il divario strutturale non è stato colmato e la forbice del divario sociale con il resto del nord si è ulteriormente allargata.
Basti pensare che solo da qualche anno è terminata la costruzione del tratto finale dell’autostrada del Sole A/2, il così detto Salerno -Reggio di Calabria, con i lavori iniziati nel 1967. Una striscia di terra lunga poco più di 400 km in cui si è annidato di tutto: ritardi, rinvii, sequestri, fallimenti. Non “male” per la prima grande opera infrastrutturale nella terra della nduja. Un sentiero che alla fine del labirintico percorso di realizzazione ha aperto le porte della modernizzazione per ciò che concerne la viabilità dei collegamenti su gomma con il resto d’Italia, per lo meno per quanto riguarda il versante tirrenico. Perché basta gettare lo sguardo sul lato Jonico che iniziano i problemi a causa della Statale 106 che da Reggio porta a Taranto. Una strada maledetta spesso teatro di gravi incidenti che però molto presto dovrebbe vedere un corposo intervento strutturale: il tratto interessato è quello tra Sibari e Roseto Capo Spulico per un totale di 38 km. Un spicchio (rispetto ai 409 km circa totali) ma molto strategico in quanto collante di tre regioni: Calabria, Basilicata e Puglia.
Ma se la gomma ride – anche in virtù dei vari fascicoli aperti- il resto dei trasporti è un pianto greco. La rete ferroviaria locale viaggia sul solco del disagio quotidiano. Lunghe tratte a binario unico, carrozze vecchie, ritardi drammaticamente cronici. Un leit motiv trito e ritrito. E le cose non vanno certamente meglio sulla linea nazionale, una delle poche a non avere l’alta velocità che si ferma a Salerno. Nonostante se ne parli da anni in maniera incessante, e posto più volte sul tavolo delle urgenze come disservizio non più rinviabile, solo una prima piccola tratta verrà coperta nell’immediato: quella tra Battipaglia e Scalo Romagnano al Monte.
Le cose non vanno meglio per ciò che riguarda l’Aeroporto dello Stretto di Reggio Calabria, il cui lento e progressivo disimpegno si fa ogni giorno più marcato. Pochi voli giornalieri ed anche con costi esorbitanti, tre sole compagnie rimaste per tre soli scali: Roma, Milano e Torino. Uno scempio senza logica se si pensa alla grande fetta di popolazione che l’hub reggino potrebbe acchiappare considerando la dirimpettaia Messina. Invece i cittadini peloritani sono costretti ad emigrare a Catania sobbarcandosi, quando va bene, due ore di viaggio. Per quanto anche qui i disagi sono notevoli, e lasciare Fontanarossa non è affatto agevole. Varcato lo Stretto sembra di essere giunti nel Gobi Desert a causa della mancanza, quasi assoluta, di mezzi che fa il paio con le infrastrutture.
Nell’ottica di una urgente riqualificazione massiccia la Sicilia occupa sicuramente uno dei primi posti. E difatti, in quello che si spera non essere la solita lista dei desideri, sono tanti gli interventi messi in cantiere. Prima tra tutti quello ferroviario. Da Messina a Palermo si viaggia su binario unico. Per raggiungere Siracusa partendo da Trapani ci vogliono più di otto ore. Nel cuore dell’isola le cose vanno pure peggio. E difatti nel complesso quadro di ammodernamento sono state inserite sei nuove tratte: oltre alle linee AC Palermo – Catania e Messina -Catania sono previste le tratte Bicocca – Catenanuova e Nuova Enna – Dittaino. La Caltanissetta Xirbi – Nuova Enna e la Lercara – Caltanissetta Xirbi queste per ciò che riguarda la direttrice Palermo -Catania. Sull’altro versante dovrebbe sorgere il Lotto 1 Fiumefreddo/Taormina/Letojanni ed il Lotto 2 Taormina – Giampilieri. Questi interventi, se ultimati, consentiranno un notevole risparmio di tempo tra il capoluogo e la città etnea e tra le stessa con Messina, per un totale di quasi tre ore.
Ma è sulla direttrice Palermo – Messina che si gioca buona parte del futuro. Questo percorso è parte integrante del Corridoio Scandinavo -Mediterraneo della rete Transeuropea TEN-T. In soldoni permetterebbe un “rapido” collegamento con Berlino, ed è anche in questa ottica che si incastra il sogno del Ponte sullo Stretto chiodo fisso (ma mai fissato) sin dal 1870. Il tema è sempre stato affrontato quasi esclusivamente dai governi di Centrodestra. Già con la legge “Obiettivo”, dell’allora Ministro dei Trasporti Pietro Lunardi, era stato inserito il progetto per la realizzazione. Tantissimi sopralluoghi, tantissimi soldi spesi senza arrivare mai ad una conclusione in un senso o in un altro. La spinta definitiva potrebbe averla data il governo Meloni dopo l’approvazione, in via definitiva, della legge di conversione del 24 maggio scorso. L’iter prevede l’apertura dei cantieri il prossimo anno (2024) con il taglio del nastro 72 mesi dopo. La campata centrale avrà una lunghezza di 3,3 km, una larghezza di 60,4 metri ed una altezza delle torri di 399 metri. Sei le corsie previste (tre per ogni direzione di marcia), e due binari ferroviari. Ci saranno poi 20,3 km di collegamenti stradali e altrettanti ferroviari che si incastreranno perfettamente alla struttura. Tante le simulazioni antisismiche effettuate e la resistenza raggiunta è pari ad una magnitudo di 7,1 della scala Richter. Il tutto dopo otto mila elaborati progettuali. Sulla carta tutto sembra bello e perfetto, saranno il tempo e la prova dei fatti a dare le risposte giuste.
Ma la Sicilia non è solo ponte e ferrovie. È stato recentemente assegnato il progetto per il raddoppio e l’ammodernamento del Corridoio autostradale Ragusa – Catania. Gli interventi previsto sono di circa 18 km con un viadotto di 500 metri, 6 cavalcavia e 3 sottovia. Anche qui sarà il tempo (si spera non molto) a dire se si tratta di un libro dei sogni, oppure per una volta la realtà avrà la meglio sulla diffidenza. Ad oggi parliamo di un’isola che non c’è.