contenuto a cura di
Francesco Rossi
I dieci giorni che sconvolsero l’Italia. Dopo i dieci giorni che sconvolsero il mondo. Sono quelli successivi alla scoperta del corpo di Giulia Cecchetin, barbaramente e vigliaccamente uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta, entrambi ventiduenni.
Un paese, l’Italia, che continua a trasecolarsi come fosse la prima volta. Purtroppo, non lo è, bisogna solo sperare e pregare che almeno sia l’ultima. Sperare solo che questo alone di follia prima o poi faccia capolino nelle coscienze di chi vive ingabbiato dentro le proprie paure e le proprie insicurezze. Là dove una lunga prospettiva di vita viene spesso vissuta come una eterna gabbia della sofferenza. Anime in pena intrappolate tra i fili spinati della depressione. Bisogna anche dire, ad onore del vero, che agli occhi dell’opinione pubblica non tutti gli omicidi, di donne o ragazze che siano, vengono percepiti in egual misura, con la stessa enfasi.
Omicidio, perché così si chiama l’uccisione di una persona, anche di una donna, senza necessità di coniare neologismi di cui non se ne sente il bisogno. Pensiamo, per esempio, a Vanessa Mastropietro stuprata, uccisa, fatta a pezzi e messa in più valigie da un nigeriano con precedenti penali. Non si ricordano rimostranze ai limiti del paradosso da parte di certe femministe vedove inconsolabili della misandria dura e pura. Anche se a targhe alterne, evidentemente. Questa volta la macchina dell’indignazione si è rimessa in moto spinta anche dalla coltre di incertezza che ha avvolto tutta la vicenda sin dal giorno della sparizione di Giulia. Il post ritrovamento non è stato da meno con Turetta che credendosi essere Harrison Ford nei panni de Il Fuggitivo tenta una fuga improbabile quanto confusionaria terminata nel sud est della Germania, una settimana dopo a bordo della sua auto.
Dieci giorni che hanno smosso le coscienze, risvegliato proteste e sdegno, come dicevamo. Sono rispuntate le scarpe rosse coi tacchi, la pennellata sul viso e gli appelli in TV. Anche il calcio ha voluto dare il suo contributo di solidarietà. Tutto giusto e tutto assolutamente doveroso, ma essendo in presenza di una scena già ampiamente vista e rivista bisogna chiedersi se questo sia veramente lo strumento adatto per combattere una piaga dai contorni oramai drammatici e sempre più preoccupanti. La risposta ovviamente è no: qualsiasi campagna di sensibilizzazione, per quanto incessante e martellante, non può essere sufficiente per fare breccia nella testa di chi vive nel disagio mentale di una esistenza problematica che spesso e volentieri sfocia nel mare della sciagura. Dove alla voce sciagura vanno inseriti anche tutti i casi in cui la violenza si ferma un attimo prima dell’omicidio.
Quindi che fare per contrastare o addirittura debellare del tutto questo fenomeno? Innanzitutto, la certezza della pena. Il Codice di procedura penale sovente lascia interpretabilità in materia di applicazione della sanzione. Articoli, commi e sotterfugi vari che sono percepiti come poco rassicuranti e spesso penalizzanti per le vittime, le quali rischiano di subire anche la beffa nel vedere la parziale assoluzione del loro aguzzino. E forse la visione dei cittadini non è poi così lontana dalla realtà. Soprattutto quando si è di fronte a casi praticamente risolti, come quello della povera Giulia.
Il diritto alla difesa non deve essere messo minimamente in discussione ma, una volta sentite le “ragioni” dell’imputato reo confesso (come nella fattispecie) bisogna procedere alla giusta condanna senza lacci e laccioli. Non possono esistere abbreviati, non ci possono essere sconti di pena per buona condotta, che va tenuta sempre nel quotidiano e non dentro ad una cella magari solo per accedere ai benefici di legge ad essa collegati. Null’altro che non sia la giusta e severa condanna. Se la pena detentiva ha anche uno scopo rieducativo è necessario che il percorso carcerario sia espletato fino all’ultimo dei giorni previsti dal dispositivo per sperare in qualche possibilità di successo, per sperare in un reale cambiamento e redenzione del recluso. Entrare in penitenziario sapendo già di poter beneficiare di una lista di agevolazioni non è certamente un buon punto di partenza.
Si parla spesso di prevenzione, ma il più delle volte si tratta di situazioni e contesti apparentemente normali, di storie finite in maniera fisiologica senza che la ferocia si sia mai palesata. Cellule dormienti difficilmente individuabili a cui in talune circostanze viene concesso l’incontro chiarificatore, l’ultimo appuntamento. Giulia si era spinta più in là: aveva consentito una frequentazione quasi quotidiana, tanta era la fiducia che nutriva il quell’individuo con la faccia pulita da bravo ragazzo.
Naturalmente non sempre è così, ne sa qualcosa Sara Scazzi che mai e poi mai avrebbe immaginato di finire la sua esistenza terrena per mano di zia e cugina nonostante la faccia poco rassicurante delle due. Nessuno poteva immaginarlo e nessuno ha dato (giustamente) la responsabilità al matriarcato nonostante la famiglia Misseri fosse sotto la ferrea guida di Cosima, con il marito Michele relegato ad una figurina di secondo piano più ininfluente di un criceto che gira la ruota dentro la gabbia.
Ma, nell’era in cui da quattro anni a questa parte ogni evento deve avere ad ogni costo un colpevole giurato e dichiarato, come se fossimo in presenza del terzo principio della Dinamica, ecco uscire dal mazzo dell’assurdo una figura ambigua e pericolosa: il Patriarca. Da cui il patriarcato. Il nuovo capro espiatorio di tutti i mali dell’umanità. Sei violento e uccidi una donna? Colpa del patriarcato, mica della pazzia. Infatti, sei pazzo in quanto uomo, ed essendo uomo sei un patriarca. In una parola: sei colpevole a prescindere e per il solo fatto di essere un uomo.
Questa equazione non è sfuggita ai soliti noti del politicamente corretto come Francesco Renga il quale, dimenticando di essere ( o di essere stato) un maschio alfa ed anche dalla mentalità ambrata, coglie al balzo l’occasione instagrammando tutto il suo illuminato pensiero post moderno e neo-liberale, da sociologo de’ noantri:” Giulia, ti chiedo scusa”. Così, a freddo, e senza ulteriori spiegazioni. Un epigramma della banalità quasi imbarazzante, in cui fa da cornice la lapidazione di qualsiasi forma di senso compiuto, la pietra tombale dell’analisi logica.
Una beatificazione del Male che non lascia scampo a nessuno, neanche alla trasmissione televisiva Ciao Darwin condotta da Paolo Bonolis e Luca Laurenti rea, secondo la Repubblica e l’Avvenire, di mercificazione della donna sotto forma di patriarcato selvaggio. Il dolo del contendere è la presenza di Madre Natura, solitamente interpretata da ragazze dotate di una certa bellezza che sfilano seminude tra le scalette dello studio. Detto come non risulti, da parte dei suddetti giornali, nessuna forma di sgomento verso quei paesi dove le donne dal patriarcato vero vengono aggredite, spesso uccise, e costrette a girare col viso totalmente coperto, ci si chiede dove siano stati i sopracitati quotidiani negli ultimi venticinque anni, essendo datata 3 ottobre 1998 la prima puntata del programma.
Ed è soltanto perché siamo in presenza di un Patriarcato tiranno che a capo presidenza del Fondo Monetario Internazionale, della Commissione Europea, del Parlamento Europeo, della Banca Centrale Europea e del Consiglio dei ministri italiano ci sono cinque donne. Manca solo la Papessa. Arriverà, anche quella direttamente dai Tarocchi, gli stessi da cui provengono tutte le fandonie di queste settimane. Per non dire mesi ed anni.