contenuto a cura di
Valentina Marsella
La scrittura come evasione, carteggio di parole e sentimenti. Murales che riempiono le celle con frasi personalizzate e foto dei propri cari. Detenuti che diventano writers di se stessi e che possono interagire col mondo tramite la corrispondenza, seppur sottoposta al controllo. Raccontiamo in questo editoriale come la scrittura sia ancora l’unico modo di espressione del pianeta carcere. In alcuni Istituti di pena ci sono addirittura corsi di scrittura creativa.
A Milano Opera c’è il laboratorio di lettura e scrittura creativa coordinato da Alberto Figliolia: “Ci incontriamo ogni sabato, ascoltiamo quello che i detenuti hanno scritto durante la settimana, o anche scritti e poesie che noi autori proponiamo – ha raccontato – facciamo esercizi di scrittura utilizzando varie metodologie; poi, dopo aver raccolto il materiale particolarmente riuscito dal punto di vista formale, produciamo delle antologie con un editore di riferimento che ha sposato il progetto. Sono stati pubblicati due libri di poesie in forma di preghiera, e ogni anno realizziamo un Calendario poetico-fotografico a tema: per il 2022 Aria. Acqua. Terra. Fuoco. Il Calendario rappresenta una riappropriazione virtuosa anche dei propri ricordi, ma, oltre che specchio personale, è un osservatorio sul mondo esterno dal quale si è apparentemente esclusi, almeno dal punto di vista fisico. Il pensiero e i sentimenti non possono tuttavia essere fermati da cemento e sbarre, e un tramonto ha sempre tutta la sua sconvolgente bellezza capace di impregnare pure l’anima di chi è in carcere. È una grande soddisfazione per i detenuti vedersi pubblicati, traspare in loro la sensazione di aver combinato qualcosa di buono e di bello: in una vita magari storta, finita dentro, allontanati dalla società, scoprono di riuscire a scrivere qualcosa che può arrivare al cuore anche di chi è fuori. La scrittura ha la doppia funzione etica ed estetica. Nel laboratorio cerchiamo di insegnare in maniera orizzontale, democratica, di incentivare anche la lettura. Attraverso la scrittura e la lettura i detenuti vivono scampoli di felicità, c’è un recupero di consapevolezza che è veramente importante”.
E c’è anche chi dà vita a un giornale: Ristretti Orizzonti è la testata bimestrale della Casa di reclusione di Padova e dell’Istituto Penale Femminile della Giudecca, di cui è direttrice Ornella Favero. Un’esperienza che accompagna il percorso di scrittura dei detenuti da 25 anni: sono stati realizzati 175 numeri, da giugno 1998 fino a giugno 2023. La rivista viene spedita a rappresentanti delle istituzioni, dei partiti politici, degli enti locali e delle associazioni del privato sociale e agli abbonati, tra i quali ci sono molte biblioteche civiche, scolastiche, operatori sociali, avvocati. Non solo: sono stati organizzati corsi di scrittura giornalistica attraverso incontri mirati con scrittori e giornalisti, che hanno dato suggerimenti importanti sul modo di lavorare. Nel 2002 i redattori hanno seguito un corso del Fondo sociale europeo per diventare operatori di pagine web. E ancora, gli inviati di Ristretti Orizzonti sono stati presenti, grazie ai permessi premio, a numerose manifestazioni sociali e culturali: dal Festival del Cinema di Venezia, alle Fiere del Libro di Bologna e Torino, alla festa di Legambiente, a Civitas, a Expo-Scuola.
Ci sono poi i casi – molto discussi – di ergastolani diventati scrittori nonostante il fine pena mai. È il caso di Carmelo Musumeci, classe 1955, originario di Aci Sant’Antonio (Catania). A 16 anni, a Massa, in Toscana, il suo ingresso in una organizzazione criminale di cui in pochi anni assume la guida. Il Clan Musumeci è protagonista negli anni 80 di una sanguinosa lotta con il Clan Tancredi, e Musumeci viene chiamato il ‘Boss della Versilia’. Viene arrestato il 22 ottobre 1991 con l’accusa dell’omicidio di Alessio Gozzani, ex portiere della Carrarese, amico di Tancredi. Nel 1992 viene condannato all’ergastolo ostativo. Ha iniziato la sua attività di scrittore in prigione, in cui è detenuto dal ‘91. Durante questo periodo viene mandato al carcere dell’Asinara. Dietro le sbarre con la licenza elementare, si diploma da autodidatta e consegue poi tre lauree: nel 2005 in Giurisprudenza con una tesi in Sociologia del diritto dal titolo “Vivere l’ergastolo”, nel 2011 in Diritto Penitenziario con una tesi dal titolo “La ‘pena di morte viva’: ergastolo ostativo e profili di costituzionalità” e nel 2016 in Filosofia con 110 e lode discutendo la tesi “Biografie devianti”. Nel 2007 conosce Nadia Bizzotto della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi e da allora ne condivide il progetto “Oltre le sbarre”. Ha trascorso due anni in regime di semilibertà nel carcere di Perugia, durante i quali ha operato in una Casa Famiglia della Comunità di don Benzi. Nonostante le ostatività, è stato scarcerato nell’agosto 2018 con la liberazione condizionale. E ancora Luigi Podda, contadino sardo e pastore di pecore morto nel 2009, condannato all’ergastolo che con il suo libro autobiografico ‘Dall’ergastolo’ nel ‘76 ha vinto il Premio Viareggio.