contenuto a cura di
Francesco Rossi
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Tanto tuonò che piovve. La tempesta perfetta che si abbatte su Trigoria alle 9:06 di un normalissimo martedì di metà gennaio porta la firma di Dan e Ryan Friedkin. Da sempre abituati ai colpi ad effetto, alle roboanti improvvisazioni cinematografiche in stile americano – che tante statuette degli Oscar ha portato loro- anche questa volta hanno voluto stupire con effetti speciali. Evidentemente stanchi di fare le statuette davanti alle continue e reiterate lamentele di Josè Mourinho – al fronte di scarsi risultati dal loro punto di vista – nella stessa maniera come era stato annunciato al mondo intero quel pomeriggio del 4 maggio del 2021, così lo hanno sollevato dall’incarico. All’improvviso, senza che ci fosse sentore della bomba che stava per esplodere.

Evidentemente la cenere del malcontento covava da parecchio tempo sotto il tappeto nella stanza dei bottoni del tycoon texano. E doveva essere davvero tanta per decidere di liberarsi di mister sold out. Perché non v’è dubbio che gli oltre sessanta pienoni consecutivi allo stadio Olimpico siano in larghissima parte merito dello Special One. Il che fa ancora più specie vista la mentalità da businessman che ha sempre contraddistinto l’americano. Il rischio di uno stadio da oggi semi vuoto ed in aperta contestazione è molto forte, reale, nonostante l’ingaggio di Daniele De Rossi. Una bandiera che può riavvolgere la pellicola dei ricordi, ma non riscaldare i cuori, soprattutto dopo una ferita del genere.

Naturalmente il problema non è l’ex Capitan Futuro, il quale darà anima e corpo in questi 5 mesi di campionato, il problema sarebbe stato di chiunque nel momento in cui deve prendere le redini di Mou, tanto più se in maniera così traumatica. Solo poche settimane fa la curva sud espose uno striscione in cui chiedeva “Josè a vita”. I Friedkin hanno vissuto quasi nell’ombra questi 3 anni e mezzo di Roma, ma certamente non amano essere oscurati tanto più da loro dipendenti, che siano stelle del cinema o maghi della panchina.

L’impatto del portoghese sul pianeta Roma è stato devastante, come in una sorta di big ben sentimentale. Sul tavolo verde della ragione ha calato il suo personalissimo poker fatto di egocentrismo quasi paranoico, l’aurea di capopopolo, la proverbiale empatia che riesce a trasmettere come il Verbo del Vangelo e quella dose di lucida follia che lo ha sempre accompagnato. Mou è entrato nelle coscienze dei romanisti il 4 maggio del 2021 un minuto dopo il comunicato ufficiale del suo ingaggio.

Il mago del Triplete interista che diventa lupacchiotto. Un brivido felino ha attraversato la depressa e spaccata tifoseria giallorossa reduce da anni difficili con l’americano precedente, James Pallotta. Mou si è sin da subito allineato all’asse della romanità tanto da apparire come la stella polare del pianeta Roma, indicando immediatamente la strada della felicità. Felicità a prescindere da tutto. Da tutto, ma soprattutto contro tutti. Arbitri, giornalisti, colleghi, calciatori avversari. Un’esplosione di romanità che non si vedeva dai tempi di Franco Sensi. Una comunità che si è subito immedesimata nello spirito guerriero del loro condottiero, compattandosi attorno alla figura del portoghese. Bastardi senza gloria che improvvisamente si ritrovano catapultati al centro del mondo. Si guardano allo specchio e finalmente capiscono di non essere i più brutti del reame.

Mourinho è uomo molto intelligente, e già durante il volo privato dei Friedkin, che da Setubal lo porta per la prima volta a Roma, capisce di stare atterrando nel posto giusto al momento giusto. E difatti l’accoglienza che lo attende è di quelle riservate solitamente ad un messia. E Mou fa di tutto per alimentare la scia luminosa da unto del Signore. Ma all’ego smisurato e lisergico del portoghese tutto ciò non basta, vuole apparire come un messia travestito da sciamano. Non sbaglia una mossa, una parola. Ha i capelli bianchi, gli anni giusti e la memoria ricca di trofei. Viene presentato nella terrazza Caffarelli e cita subito Marco Aurelio. Si mette un gradino sotto a Liedholm e Capello, allenatori scudettati. Dice “mi vedo tra tre anni a festeggiare qualcosa con questa squadra”.

Brucia tappe e tempi, lo farà meno di un anno dopo alzando la Conference a Tirana, segnando il  punto più alto della sua avventura romanista. Avventura che in campionato lascia parecchio a desiderare: due sesti posti, ed un nono lasciato in eredità a De Rossi quando siamo a metà stagione. Mai veramente in lotta per il quarto posto ritenuto indispensabile dalla proprietà.

Il deficit Champions è però stato coperto, in parte, dai ricavi del botteghino con introiti pressoché raddoppiati (da 25 milioni a 49) e dal merchandising (da 14 a 22 milioni), il cui grosso del merito va ascritto al portoghese. Va da se che tutto ciò non può bastare per progettare il salto di qualità, per alzare l’asticella dell’ambizione smisurata almeno quanto la vanità di Josè.

Eppure i Friedkin non si sono certo risparmiati, dal loro arrivo (agosto 2020) ad oggi, hanno investito 857,8 milioni senza mai poter contare sui ricavi della Coppa dalle grandi orecchie. Nonostante ciò non sono mancati i colpi a sensazione, Dybala e Lukaku su tutti, convinti principalmente dalla presenza di Josè Mourinho. Con il passare delle giornate la proprietà si è trovata nella morsa dei due fuochi: da un lato un’icona mondiale della panchina, dall’altro la mancanza di risultati soddisfacenti nonostante gli sforzi compiuti. In mezzo la miccia dei continui show dell’allenatore, su rosa corta e inadeguata, ma con il supporto di una città intera letteralmente stregata dallo stregone di Setubal.

Ma per un leader a vocazione settaria tu esisti solo in quanto amico. Nemico chi non concorre per la stessa causa. Appurato che i calciatori non lo erano, in quanto scarsi o gracili (ad esclusione della Joya), Mou ci ha messo poco a scaricarli. Tutte le volte che ne riconosce il merito dell’impegno (solo quello) è praticamente un modo “elegante” per sottolinearne l’inadeguatezza. Tenuti in vita solamente dalla bombola delle metafore come “empatia, “ famiglia” e non ultima l’uscita dei “banditi”, Josè è andato a prendersi quelle due, tre persone non ancora allineate alla sua filosofia. Tutti uniti e compatti come soldatini al fronte.

Mou è come Narciso che vive, odia, ama, determina e distrugge di luce riflessa. Io sono il tuo dio, il tuo castigo, la tua fortuna, ma anche la tua sventura. Tutto nasce con me e tutto finirà con me. Ad maiora semper, caro Mou.