contenuto a cura di
Francesco Rossi
“La Rai Radiotelevisione Italiana inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive”. Si accendono con con queste poche parole le luci della ribalta sul sipario della TV di Stato. Sono le 11:00 del 3 gennaio del 1954, e nulla sarà più come prima. Ad annunziare la prima assoluta, l’antesignana delle signorine buonasera Fulvia Colombo che introdurrà “Arrivi e partenze” di Mike Bongiorno previsto alle 14:30. Sarà il vero e proprio battesimo di fuoco che terrà incollati milioni di persone davanti a questa curiosa scatola parlante, ancora poco diffusa anche a causa dell’elevato costo. Qualche ora più tardi (20:45) andrà in scena la prima edizione del telegiornale firmato da Vittorio Veltroni. Seguirà il terzo debutto del giorno, ovvero quello de La domenica sportiva. Programma ancora in onda, e per questo il più longevo in assoluto, nonostante negli anni, a causa delle piattaforme digitali, ha perso quasi del tutto interesse e curiosità. Ma non v’è dubbio che ha contribuito in maniera corposa ad alcune novità importanti come l’introduzione della moviola. Nei primi anni di trasmissione i programmi partivano alle 17:30 per concludersi intorno le 23:30. Nei giorni festivi l’orario veniva anticipato alle 11:00, con un’interruzione dalle 12:00 alle 15:00. Si va avanti così (seppur con modifiche di fascia) fino al 5 ottobre del 1980 quando viene eliminata la pausa. Durante questo lungo intervallo veniva mandato in onda il monoscopio, ovvero un’immagine televisiva fissa prodotta a verificare la qualità delle trasmissioni e delle apparecchiature televisive.
Nonostante all’epoca la televisione rappresentasse un privilegio per pochi fortunati l’escalation di mamma Rai non si è arrestata. E’ cresciuta in maniera proporzionale all’andamento economico del Paese diventando prima adolescente, poi adulta, ed infine la vecchia Signora della TV che l’ha portata a spegnare qualche giorno fa 70 candeline. Un’espansione continua, sempre al passo con tempi, tanto da essere diventata il primo polo televisivo in Italia e tra i primissimi del Vecchio Continente. Ma anche la prima azienda statale per numero di dipendenti e giro di affari. Un crescendo rossiniano favorito soprattutto dal boom economico degli anni ‘60 che ha consentito a milioni di famiglie di poter acquistare il televisore, diventando in pochissimo tempo una macchina macina ascolti. All’epoca non esisteva lo share, l’unico indice di gradimento erano i commenti nei bar e nei mercati del giorno dopo. L’entusiasmo era sempre più crescente. Si parla del piccolo schermo in quanto il vero debutto della RAI avviene a cavallo tra le due guerre con la diffusione radio dei sui contenuti. Dalle stesse frequenze sono nati due programmi diventati storia della TV, ed ancora di attualità: la Corrida e soprattutto il festival di Sanremo. E’ li che hanno costruito il loro successo prima di traslocare dal microfono alla telecamera. Nel DNA “della casa di tutti gli italiani” era sin da subito chiaro l’imprinting: divulgare cultura. Questo doveva essere, secondo le intenzioni iniziali, lo scopo principale della televisione. E per molti anni c’è riuscita, diciamo fino al 14 aprile del 1975 quando venne approvata la Legge 103 che trasferiva il controllo dal Governo al Parlamento. Da quel giorno
è iniziato un interminabile giro di valzer, con i vari partiti politici impegnati nella disperata missione di tentacolare la programmazione a loro piacimento. Soprattutto su TG e talk show che li riguarda. Tanto che spesso torna di moda l’idea di privatizzare l’azienda così da renderla libera da qualsiasi vincolo ideologico diretto, e soprattutto rendere liberi gli italiani dall’ennesima inutile tassa che è il canone. Imposta che Renzi, in qualità di premier, inserì nella bolletta della luce cosicché da schivare i furbetti della morosità costante. Il balzello sulla televisione è sempre stato percepito dalla comunità come una rapina. Soprattutto perché, nonostante “l’abbonamento obbligatorio”, l’emittenza pubblica detiene la stessa fetta di quota pubblicitaria di Mediaset.
La conseguenza è stata quella di una vera e propria invasione di spot promozionali che hanno fatto (e continuano a fare) un’irruzione selvaggia su film e programmi senza distinzione di orari. L’arrivo nei primi anni ‘80 della TV commerciale ha di fatto interrotto il lungo monopolio durato quasi trent’anni, costringendo la Rai ad una lunga, laboriosa e difficile, riorganizzazione strutturale. D’un colpo s’è ritrovata sballottata da un emiciclo all’altro del Parlamento, e da un temibile concorrente di cui non aveva fatto i conti, dall’altro. L’allora Fininvest di Silvio Berlusconi ha iniziato a fare incetta di conduttori con una campagna acquisti senza precedenti. Il primo a traslocare negli scantinati di Milano 2 proprio Mike Bongiorno colui, cioè, che battezzò la nascita della TV. A seguire tutti gli altri, da Maurizio Costanzo a Corrado, da Sandra e Raimondo fino a Pippo Baudo e Raffaella Carrà. Come per magia, però, la Rai rivive una seconda giovinezza. Al suo capezzale accorrono professionalità e figure di spessore come quella di Sergio Zavoli o di Enrico Manca che danno nuovo slancio a tutta l’azienda. Infatti, malgrado tutto ciò e malgrado l’intromissione a gamba tesa della politica con tutte le sue innumerevoli conseguenze il progetto originario, seppur tra alti e bassi, è andato a buon fine. Non si può d certo sostenere che nei primi 70 anni di vita la cultura in Rai sia mancata, anzi. Trasmissioni come Quark e Superquark, un mix di cultura e scienza, entrambe a firma e conduzione di Piero Angela, hanno fatto la storia della televisione italiana. Per oltre 50 anni il divulgatore scientifico ha riempito di sapere le case dei telespettatori. Detto del festival di Sanremo e de La domenica sportiva, sono anche altri i programmi storici ancora in onda: come per esempio
Domenica In o Uno Mattina. Ma anche tante serie Tv, fiction, teatro e giochi a premi. Non è ovviamente mancato lo sport, con il calcio grande protagonista. Come dimenticare “Non è mai troppo tardi”, programma di Alberto Manzi che dal 1960, e per 8 anni, contribuì in maniera notevole a ridurre notevolmente l’ampia fascia di analfabetismo ancora presente nel paese. Cinquantasei anni dopo la televisione è completamente cambiata, l’abito si è parecchio infeltrito e non si vede all’orizzonte un sarto un grado di cucire una nuova veste adatta ad accontentare le esigenze odierne senza macchiare il glorioso passato. Si è passati dalle lezioni di italiano di Albero Manzi alle lezioni di volgarità e scempiaggini del Grande Fratello. Soprattutto la TV è riuscita a smentire il fondatore della 20th Century Fox, Darryl Zanuch, il quale, nel 1946, arrivò a sostenere che il pubblico si sarebbe stancato molto presto della televisione. Non solo la sua previsione non si è avverata ma addirittura la televisione è andata oltre: si è insinuata nella testa del popolo condizionando il loro modus pensandi ed influenzando non poco politica e cultura dell’Italia.