contenuto a cura di
Domenico Giordano
Secondo le ultime stime ufficiali il numero di iscritti a LinkedIn in Italia supera di poco i 16 milioni e la piattaforma è al settimo posto, con il suo 25%, tra i social più utilizzati dai 43 milioni di italiani che in media rimangono connessi alla rete per circa 6 ore al giorno, di cui circa 2 spese proprio per postare, controllare notifiche, lasciare un wow o un commento oppure, come la maggior parte di noi, semplicemente curiosare nel proprio feed.
Ma, prima dei numeri sugli iscritti o sui tempi di connessione è opportuno rammentare che LinkedIn è la “rete professionale online più grande al mondo” e che sin dal suo lancio è stata concepita e popolata per incrociare domanda e offerta di lavoro, per costruire e consolidare relazioni professionali, oltre che per acquisire le competenze necessarie per far decollare o rilanciare una carriera professionale. Quindi, in sintesi, l’ambiente digitale geneticamente più refrattario alla politica, ai leader e ai contenuti di quest’ultimi sempre propensi a raccontarsi come paladini del giusto e dell’onestà. Del resto, in più di un’occasione ai leader che si sono affacciati aprendo un account su LinkedIn è stato appunto “rimproverato” che i loro “temi” non erano coerenti con gli interessi degli utenti. Cosa che non di rado, avviene anche adesso, tant’è che LinkedIn rimane la piattaforma “politicamente” meno presidiata. Matteo Salvini, ad esempio, non ha un account, Matteo Renzi l’ha aperto ma di fatto abbandonato, mentre Giuseppe Conte continua a utilizzarlo, in particolare modo dopo la fine dell’esperienza a Palazzo Chigi.
Dal 3 maggio, invece, anche il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha aperto il suo account ufficiale su LinkedIn, attualmente con 14.033 follower all’attivo, postando da un lato con regolarità, ma dall’altro scegliendo di selezionare i contenuti da pubblicare rispetto a quelli veicolati sulle altre piattaforme già presidiate da tempo e con una platea di follower milionaria. In sostanza, allo staff di Meloni è chiaro che non serve “irretire” i follower replicando pedissequamente su LinkedIn tutti i post, soprattutto quelli di matrice “pop” che sarebbero rigettati dagli utenti. Una scelta motivata ragionevolmente anche per la ragione di fondo che ha spinto Meloni e il suo social team a aggiungere anche questa piattaforma all’asset digitale, che conta per l’appunto Facebook, Instagram, Twitter, TikTok e Telegram, che è quella di consolidare prioritariamente la reputazione della leadership piuttosto che inseguire l’egotismo dell’interazione. In questo primo mese su LinkedIn i post pubblicati sono stati una trentina e le interazioni totali vicino alle 20 mila.
Certo, non sono mancati in queste settimane dei post “pop” – come quello pubblicato in occasione della festa della mamma con annesso selfie, che ha incassato del resto in assoluto la quota più consistente di like – ma, per avere una conferma di quanto raccontato in premessa, ovvero che l’approdo a LinkedIn ha una motivazione diversa da quella che ha dettato l’apertura degli altri canali, è sufficiente censire le interazioni dei post e in special modo quelle dei commenti al post. Ebbene, se ci fermiamo al dato quantitativo, il post che in assoluto ha incassato la quota più ampia di commenti ben 298, da parte dei follower e degli iscritti alla piattaforma è stato quello del 13 maggio dove Giorgia Meloni pubblica la foto con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in visita ufficiale in Italia e a Roma.
Il dato dei commenti diventa ancor più significativo se pensiamo che in questo mese il totale dei commenti raccolto da tutti i posti, poco meno di trenta, è stato di 1955, quindi un solo post ha incassato oltre il 15%. Un risultato, inevitabilmente determinato da una serie di fattori e tra questi c’è sicuramente quello legato al tipo di pubblico e di utente medio che utilizza LinkedIn.