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Francesco Rossi
“Dove eravamo rimasti?” Con queste poche parole – ma piene di significato- riapparve in TV Enzo Tortora dopo le note e tristi vicende giudiziarie che lo videro, suo malgrado, coinvolto. Anche noi, in maniera molto più prosaica, cerchiamo di riannodare i fili delle puntate precedenti ben sapendo di avere a che fare con un flipper impazzito. Arrivano palle da ogni direzione senza sosta di continuità, sembra si faccia a gara a chi le spara più grosse, con una pervicacia ed un animus pugnandi da gladiatori romani. In questo teatrino da ballerine del Bolshoi non potevano certamente mancare le penne rosse di Raitre, due in particolare: Marco Damilano e l’immancabile Lucia Annunziata, sempre in prima fila sul tagadà delle polemiche strumentali. Ma andiamo con ordine.
Sull’ex direttore dell’Espresso – attualmente conduttore del programma “Il Cavallo e la Torre” – si è abbattuta una vera e propria bufera mediatica, e non solo. La vicenda risale a qualche anno fa e riguarda l’inchiesta, denominata “Metropol”, che vede coinvolto (a sua insaputa, questa volta è il caso di dirlo), il segretario della Lega Matteo Salvini. Tutto nasce da un articolo del 24 febbraio 2019 pubblicato dal settimanale L’Espresso, allora diretto proprio da Damilano, secondo cui il Carroccio avrebbe usufruito di fondi illegali da parte della Russia. Per la rivista il segretario leghista avrebbe intascato tre milioni di euro, soldi ricevuti da alcuni emissari del governo russo, per finanziare la campagna elettorale delle scorse Europee. Il tutto “coperto” da uno stock di carburante che lo stesso Salvini avrebbe venduto ai russi.
All’incontro incriminato, avvenuto il 18 ottobre 2018 presso l’Hotel Metropol di Mosca, avevano partecipato il presidente dell’associazione Lombardia-Russia Gianluca Savoini, l’avvocato calabrese e massone Gianluca Meranda, l’ex bancario Francesco Vannucci e tre intermediari russi. Gli atti allegati all’inchiesta milanese, archiviata lo scorso aprile in quanto non è emerso alcun passaggio di denaro, hanno permesso di accertare che Meranda aveva agito come un agente provocatore dei giornalisti de L’Espresso, venendo compulsato telefonicamente nei giorni precedenti, e che gli intermediari russi seduti al tavolo del Metropol altro non erano che agenti del Kgb. Quattro anni dopo il finto scoop, studiato a tavolino, Damilano (diventato nel frattempo conduttore per Mamma RAI), non solo non chiede scusa, ma addirittura rilancia, vantandosi di “avere affossato Salvini quando era al massimo del suo consenso”. Una fierezza da mostrare come un trofeo, una medaglia al valor civile da appuntare al petto, scintillante in tutte le sue falsità, in linea secondo il vademecum del buon giornalista di sinistra.
Oriana Fallaci sosteneva che “ogni persona libera, ogni giornalista libero, deve essere pronto a riconoscere la verità ovunque essa sia. E se non lo fa è (nell’ordine): un imbecille, un disonesto, un fanatico”. Meno di due righe per sintetizzare al massimo il codice deontologico ed esorcizzare la cattiva abitudine del giornalismo prezzolato. Ma a questo punto la domanda sorge spontanea: può un “professionista”, di tale portata, condurre un programma RAI che della trasparenza e dell’onestà intellettuale dovrebbe farne il fulcro e l’impalcatura morale di tutta l’informazione? Si può materializzare l’aspettativa mettendo in copertina chi mente sapendo di mentire? Domande alle quali tutta la politica dovrebbe dare una risposta in maniera lucida lasciando da parte, almeno per una volta, i soliti giochi di bottega.
Bottega (oscura) da cui proprio non riesce ad uscire Lucia Annunziata, fieramente arroccata sull’Aventino ideologico, in lotta perenne contro il “fascio” quotidiano. Questa volta l’eroina in camicia rossa si è davvero superata, tirando fuori dagli scaffali dell’assurdo, una perla piena di livore e falsità: “questo Governo vuole trasformare la RAI nell’Istituto Luce di un premier eletto in modo diretto”. Per i pochi che non lo sapessero l’Istituto Luce venne creato da Benito Mussolini e rappresentò un potente strumento di propaganda del regime fascista attraverso film e documentari. Come dire: avessimo avuto anche una piccola marcetta – magari da Piazza Venezia a Villa Torlonia – il Governo fascista 3.0 sarebbe una realtà a tutto tondo. Usciti dall’archivio del panegirico delle sciocchezze e da una realtà virtuale, che esiste solo negli hard disk di un sistema impazzito, ci si chiede come si possa arrivare a paragoni improbabili e totalmente distanti dalla realtà, alimentati da un vizio di forma che trasuda di faziosità al di là di ogni ragionevole dubbio. Perché l’ex conduttrice de “In mezz’ora” insiste con queste teorie, buone solo a ridicolizzarla agli occhi dell’opinione pubblica che non sia di bieca visione? Sembra di essere in Duel il primo lungometraggio di Steven Spielberg, in cui un’autocisterna, senza un motivo apparente, insegue e tallona un’auto con l’intento di speronarla e metterla fuori strada. Senza nessuna motivazione valida, come la guerra ossessiva al Governo Meloni, accusato un giorno sì e l’altro anche di fascismo, ma che invece è quanto di più distante ci sia da qualsiasi retaggio del ventennio.