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Valentina Marsella
Francisco Mele è psicoterapeuta, criminologo, docente, didatta del Centro Studi di Terapia Famigliare. Ha lavorato in Argentina nell’ospedale psichiatrico giudiziario, carceri e ha diretto un istituto minorile. Ph. D all’Universita di Belgrano gemellata con la Bocconi, con una tesi su criminologia e psicoanalisi. Successore di Jorge Mario Bergoglio come professore di psicologia al Collegio del Salvador di Buenos Aires diretto dai Gesuiti.
D. La tragedia che ha ucciso il piccolo Manuel a Roma ci racconta la moda letale di influencer youtuber, in questo caso di The Bordeline, un canale da diverse centinaia di migliaia di followers su YouTube, Instagram e TikTok, che sono pronti a rischiare la vita e a travolgere quella degli altri.
Parafrasando Luigi Pirandello, “Uno, nessuno e migliaia”, per gli youtuber c’è la necessità, per non dire l’ossessione, di essere seguiti da migliaia di persone. Fanno a gara per le visualizzazioni, sia per un ego personale che per risvolti economici. Rischiando la vita e mettendo a rischio quella degli altri. Con le dirette youtube, i selfie e i video social l’uno si scompone in migliaia di frammenti e non riesce più a ricomporsi. Perché la società di consumo offre delle insostanze che ingannano con un falso mito di unità: quando sai che migliaia di follower ti stanno guardando scatta una escalation di competizione con i rivali che ne hanno di più. Una competizione all’estremo che il filosofo francese René Girard con la teoria del principio mimetico genera violenza nella società. In questa rivalità mimetica l’energia umana appare come una forza gravitazionale: quando vado fuori orbita il principio di realtà scompare.
D. Non a caso il canale youtube dei giovani coinvolti nella vicenda si chiama The Borderline
Sì, appunto, in questa ricerca ossessiva dei like sono pronto a uscire dal bordo, oltrepasso il limite. Mi schianto e l’universo scompare. È come se nelle dirette web questi ragazzi si sentano su un’astronave e vedano il mondo piccolo. Tutto è rinforzato dal gruppo, la coscienza morale scompare e diventa fuori dalla legge. In questa euforia di onnipotenza vedo gli altri piccoli, senza percepire più che anch’io sono un punto. Se restiamo impigliati nella massa mimetica, nel vortice, posso frammentarmi o frammentare gli altri. Narciso cade vittima dell’amore per sé stesso, si innamora della sua immagine riflessa ma per quella immagine è pronto a rischiare la vita. Icaro non riconoscendo i propri limiti, si avvicina troppo al sole che scioglie le sue ali di cera, e muore. La filosofia greca ci aiuta a riproporre i miti, non siamo altro che le note e le appendici di Platone.
D. Professore, si tratta di un fenomeno che lei studia da anni, che ha racchiuso nel saggio ‘Il Dio webbizzante’. Di cosa si tratta?
Perdendo la percezione dell’effetto della propria azione siamo passati dall’Edipo freudiano dove il padre imponeva una rigida legge all’Edipoweb dove tutto è permesso. Nell’Edipoweb si verifica come dice Lacan la scomparsa della funzione paterna a favore –diciamo noi- dell’attaccamento al seno-iphone senza soluzione di continuità, contribuendo in questo modo all’autismo digitale. Il web è uno strumento che non sappiamo dominare, non possiamo vivere senza i selfie, senza esporci in video, in foto. Il web è indispensabile come l’aria, perché la sua seduzione crea una sensazione di dominio. Lucifero il seduttore che nella citazione biblica “se tu mi adori tutto questo mondo sarà tuo”, racchiude il senso di tutto questo. Gli adulatori del web sono convinti di dominare il mondo. Ma la certezza di ciascuno di esistere non lo libera dall’angoscia dell’esistenza, dall’incertezza e la paura di essere alla mercè di un Ente senza volto. C’è l’illusione di avere su di sé migliaia di occhi puntati e tanti amici. Ma basta un attimo per perdere quella popolarità: ecco, quei viaggiatori deviati del web vivono nell’angoscia di essere dimenticati.
D. Lei ha definito questa generazione “I migranti del web”, sottolineando che, come i migranti del mare, una grande massa li travolge e in questa massa sono pronti a immolare se stessi.
Sì, sia nel caso dei disperati che si mettono in viaggio alla ricerca di una vita migliore sia in quello dei navigatori ossessivi del web si viene inghiottiti da questo grande mare. Trafitti dalle correnti marine in cerca di un’esistenza felice. Siamo molto immersi in un mondo che l’uomo ha creato, senza immaginare forse che lo stesso uomo non riesce più a controllare l’effetto della propria azione. Ciascun individuo che posta una foto, scrive un articolo o immette un video non è in grado di calcolare come il suo intervento verrà utilizzato da altri a cui arriva. Questa del web è una delle cause di insicurezza che si aggiunge alle tante di natura economica, politica e sociale, dalle quali è impossibile liberarsi perché appartengono a uno stato di necessità.
D. Sempre secondo la sua analisi il Dio web esige oltre all’esposizione del Sé la confessione di tutti i pensieri, la rinuncia di sé, la verbalizzazione di ogni pensiero e soprattutto la messa in mostra delle immagini e dei luoghi dove il Sé fa selfie. Cosa si può fare per arginare il fenomeno?
L’ossessione nasce dal fatto che il selfie o il video scava dentro l’animo umano. Si è convinti che si può confessare tutto agli “amici” follower. Ma ognuno è solo, tra miliardi di persone. Ci vuole perciò un lavoro interiore molto forte. Come si insegna all’atleta la posizione da assumere, così ai giovani va insegnata la padronanza del mezzo, la posizione che li faccia entrare e uscire dal web con coscienza e cognizione. Dalla scuola alla famiglia, il messaggio deve essere “Ragazzi non cedete alle seduzioni del Dio webbizzante, siate padroni della vostra esistenza”. Recuperare il valore della parola piena, che abbia senso e non rimanere a balbettare e voler riempire il vuoto esistenziale con scarti di parole.