contenuto a cura di
Francesco Rossi
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” Che dici vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte, o se non vengo per niente?” Non vengo. Chissà se questa massima di “Ecce Bombo” ha sfiorato le menti e smosso le coscienze di chi, data per certa, oltre che scontata la presenza al funerale di Silvio Berlusconi, ha invece preferito marcare visita. Si dice come gli assenti abbiamo  sempre torto, e forse mai come questa volta è proprio cosi, perché il clima tra Cattedrale e Piazza Duomo è stato più da tripudio che da ultimo saluto. Una pellicola ricca di emozioni su cui è andata in scena tutta la spettacolarizzazione della vita del fondatore di Fininvest. Una vita da Truman Show, mai banale sin dai primissimi anni, sagacemente raccolta in quell’ora e mezza di esequie.

Assenze roboanti (citiamo solo quelle calcistiche per rispettare la sacralità del Milan rispetto alle altre attività che il Cavaliere ha sempre definito profane), di quelle che pesano, difficilmente digeribili, che lasciano un solco profondo sul viale della libertà di coscienza che anima ed agita i nostri percorsi che molto spesso si tramutano in rimorsi e rimpianti. Qui siamo in presenza di tre colonne portanti dell’epopea d’oro berlusconiana alla guida del Milan. Carlo Ancelotti, Paolo Maldini e Andriy Shevchenko, in rigoroso ordine di età.

L’ex attaccante, contrariamente ai primi due, non ha ritenuto doveroso neanche un saluto sui social. Nulla, freddezza e indifferenza che fanno rima con concupiscenza. Un rumore assordante come il gloglottio dei tacchini alla vigilia della festa del Ringraziamento. Ancor più assordante se si pensa che il loro rapporto era soprattutto personale, era extra-campo. Silvio Berlusconi è il padrino dei suoi figli, ha contribuito in maniera determinante ad allungare la vita del padre di 15 anni, come dallo stesso Shevchenko ammesso in più circostanze. Inoltre, li univa anche lo stesso giorno di nascita: 29 settembre. Non solo, l’ucraino è diventato “Sheva” con la maglia del Milan. Al suo arrivo a Milanello era un pulcino spaesato, seppur accompagnato da una base tecnica da sgrezzare e raffinare. Tutto bene, quindi? Non esattamente. L’indifferenza e la glaciale freddezza dell’ex numero “9” rossonero, (degne delle temperature invernali siberiane), sono da ricercare probabilmente in questioni politiche. Berlusconi, da sempre amico personale di Vladimir Putin, anche ultimamente con la guerra in corso non ha lesinato apprezzamenti verso il leader russo riservando stilettate a Zelensky. Lo ha fatto a Porta a Porta (poco prima delle elezioni politiche) ed anche ad una convention di Forza Italia. Uscite evidentemente poco gradite ad Andriy tanto da farsi trovare spiazzato (forse) da questo ennesimo tunnel del suo vecchio datore di lavoro e secondo padre. O forse no; l’impressione che si ha è invece di un rancore profondo, sempre più crescente verso “l’uomo della sua vita”, un rancore quasi pensato, voluto, maturato nel tempo che neanche il trapasso nell’aldilà ha mitigato e messo da parte momentaneamente.

Meno note e meno pronosticabili, ma non per questo più nobili, le motivazioni del forfait di Ancelotti e Maldini. A conoscenza di cronaca nessuno dei due ha mai avuto conflitti con Silvio Berlusconi. Anzi. Come nel primo caso anche loro sono diventi ciò che sono grazie al Milan targato Fininvest. L’attuale tecnico del Real Madrid addirittura nella doppia veste di calciatore prima e allenatore dopo. In entrambi i casi, da vincente. Come vincente è stata l’avventura del figlio di Cesare. Il quale smessi i panni da leader, bandiera, e miglior terzino della storia, probabilmente si sarebbe aspettato un incarico dirigenziale da parte di Berlusconi e Galliani, incarico forse sfiorato ma mai concretizzatosi sotto la loro gestione. Difficile credere che anche l’ex capitano covasse dei risentimenti e del malcontento per quanto mai offertogli.  Soprattutto perché si parla di un arco temporale lungo più di dieci anni e generalmente il tempo aiuta a guarire le ferite. È proprio vero: il possesso della conoscenza non uccide il senso di meraviglia e mistero. C’è sempre più mistero.

Ma poteva mai finire qui? Ovviamente no, perché “se qualcosa può andare storto, lo farà”, come sosteneva Murphy nella sua famosa Legge. Non poteva finire qui quando ad essere al centro dell’attenzione mediatica mondiale ci stava il personaggio più amato e odiato degli ultimi trent’anni in Italia. Il più discusso e osannato. Insomma, il più divisivo dai tempi di Guelfi e Ghibellini. Con certa stampa in prima linea, come fucilieri assaltatori sul fronte ideologico del ciarpame senza pudore. Un carro funebre del macabro che neanche dinanzi ad una salma ha arrestato la sua folle corsa verso l’ignobiltà.  Una lista dell‘horror cui si fatica a stilare una classifica dei peggiori. Sul Tacabanda del mundus patet, fatto di odio e trivialità, sono saliti un po’ tutti tra i soliti noti. I menestrelli del “Fatto Quotidiano”, vignettisti vari, qualche politico e presunti intellettuali della solita sinistra che si sono resi protagonisti di uno “spettacolo” osceno a dir poco. Come un branco di iene affamate e bramose di addentare la povera vittima di turno. Un balletto attorno alla carcassa e poi via a sbranare il malcapitato. Di diverso qui c’era soltanto il soggetto, non gli attori. Insulti, offese, doppi sensi, una turpe intrinsichezza di cui avremmo fatto volentieri a meno, figlia di un clima di odio alimentato negli anni da una spietata ed insensata campagna denigratoria dai toni sempre più forti.

Una caccia all’uomo senza barriere in cui non poteva certamente mancare Oliviero Toscani. Il fotografo e araldo dell’ordine mentale neoliberale, ospite ad un evento a Scampia, non si è fatto sfuggire l’opportunità di riversare ettolitri di odio colorati di rosso “Berlusconi era un gangster, contento della sua morte. Ci ha rubato la dignità sociale”. Un corollario di frasi scioccanti e deleterie prontamente respinte dagli organizzatori. A questo codazzo tossico non poteva non unirsi anche Charlie Hebdo. La rivista francese, da sempre motore pulsante delle becere volgarità indifferenziate scambiate artatamente per satira, non ha perso l’occasione per farsi notare pensando bene di proporre una copertina dai toni assolutamente disgustosi. E siccome al peggio non c’è mai fine, chiudere così la galleria del disprezzo sarebbe stato troppo soft. Ci hanno pensato l’Arci Blob di Arcore con la “festa” dal titolo “Dipartyto” ed il collettivo Labas di Bologna con il “funeral party“, a completare il raccapricciante festival della pavidità messo in scena da chi dell’hastag #restiamoumani ha fatto una questione di sopravvivenza e di stile.