contenuto a cura di
Francesco Rossi
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Tra chi sosteneva che “il potere logora chi non ce l’ha” e chi invece era per il partito del “volere è potere”, c’è un mondo di mezzo. Se non è proprio quello di Buzzi e Carminati, ci siamo molto vicini. Un rapporto da sempre molto complicato quello tra la giustizia e la politica. Una spirale del malaffare in cui se caderci è dolce, rimanerci no. Soprattutto una volta saltato il banco. Un vortice nero dalle radici profondissime, il cui limite tra garantismo e giustizialismo è sottilissimo come un filo di capello, reso ancora più marcato nell’era social dove i Tribunali dell’Inquisizione non riposano mai e ad essere messi all’indice troviamo indagini, prove e sentenze. Nulla sfugge all’occhio del Grande Fratello travestito da Perry Mason. Tant’è che spesso gli avvocati sconfitti parlano di “sentenza condizionata dall’opinione pubblica”, secondo il malcostume di italica matrice in cui nessuno è mai colpevole di nulla e la responsabilità è sempre una questione altrui. Figurarsi parlamentari o ministri, i quali, anzi, si immolano solo per il bene della comunità. Talmente vero che si è reso necessario il paracadute dell’immunità; se qualcuno finisce sotto la lente d’ingrandimento, con tanto di richiesta di rinvio a giudizio, sarà il Parlamento stesso a decidere la sorte da “dentro o fuori”, in cui quasi sempre prevale la logica partitica di appartenenza che neanche Tom Hanks in “Salvate il soldato Ryan”. La perniciosa questione morale è comunque un macigno che il Bel Paese si porta dietro dal tempo dei romani. Il ventaglio del peccato è sempre stato molto variegato: si andava dalla corruzione elettorale al peculato, dall’estorsione alla concussione.

Appare rilevante che il primo reato riconducibile al significato forgiatosi nell’esperienza giuridica romana medio repubblicana, per indicare la corruzione, sia connaturato all’ambizione elettorale: ambitus esprime, difatti, l’attività di chi in periodo di votazioni compia pratiche illecite per procurarsi consensi, andandosene a tal scopo in giro (ambire). Fu il fenomeno corruttivo che probabilmente più incise sulla degenerazione delle istituzioni politiche romane e raggiunse l’acme nel I secolo a.C. La prima legge anticorruzione si riferirebbe appunto a tale reato e risalirebbe al 358 a.C.: la lex Poetelia de ambitu. Anche nell’era in cui viviamo è questo, forse, il fenomeno più diffuso. Negli anni si è evoluto lessicalmente, oggi si chiama voto di scambio. Dell’immensa grandezza dei romani si è riusciti a estrapolare e salvare il peggio. Soprattutto perché nessuno pensa minimamente alle dimissioni, al passo indietro, al passo di lato, insomma al passo d’addio anche in presenza di una condanna passata ingiudicato. Oggi va di moda “la spiegazione” parlamentare per riferire all’aula le proprie ragioni, che ovviamente viaggiano sempre sui binari del vittimismo. Uno “spettacolo” trito e ritrito dal finale scontato ed anche abbastanza stucchevole. Una pennellata di banalità a tinte fosche in cui le due fazioni dell’emiciclo si affrontano a colpi di accuse reciproche come da copione in Ciao Darwin.

Un caso abbastanza recente ed emblematico è quello che ha visto protagonista una deputata di FDI; condannata in via definitiva per l’uso improprio dei fondi dei gruppi consiliari del Piemonte negli anni dal 2010 al 2014, ha pensato bene di mollare solo la cadrega da sottosegretario (dopo ripetuti inviti) ma non quella da parlamentare. In sfregio alle più elementari regole del buon gusto, un degrado morale che sa tanto di beffa per i comuni cittadini, i quali se penalmente sporchi, non solo perdono il lavoro, ma vengono anche interdetti dai pubblici uffici. In una sola parola, azzerati. 

Non per questo, però, il torto sta sempre da una parte, per nulla affatto scontato il finale. Prova ne sia lo scandalo della Banca Romana (1892 1894) che vide coinvolti oltre al direttore della banca stessa, giornalisti, politici e primi ministri del calibro di Francesco Crispi e Giovanni Giolitti. Quello dell’istituto bancario capitolino fu il primo vero scandalo politico – finanziario dell’Italia unita (l’antesignano del caso Mps). Sia Crispi che Giolitti si dimisero come atto di responsabilità per poi tornare in sella (Giolitti come premier) una volta accertate le estraneità ai fatti. Oggi tutto ciò non è neanche ipotizzabile, immaginabile, in nome di quel garantismo atto a garantire solo potere, privilegi e poltrone. Neanche una momentanea sospensione è da tenere in considerazione, nada de nada. Da allora molte cose sono cambiate: la torta si è fatta sempre più grossa grazie alla nascita di Province e Regioni per cui gli scandali sono quasi all’ordine del giorno e proprio per non farci mancare nulla, e per non perdere ritmo, in questo periodo è scoppiata, per il Governo, la grana Santanchè. L’attuale ministro del Turismo (non è chiaro perché ci debba essere un dicastero apposito e non, invece, una delega accorpata al ministero della Cultura con la conseguenza di un ingente risparmio per le casse dello Stato), è finita sotto una tempesta di polemiche per via di alcuni scandali che vedrebbero coinvolte le sue aziende, Visibilia e Ki Group. A quanto si apprende dall’inchiesta condotta da “Report” i bilanci sarebbero in rosso, lavoratori mandati a casa senza liquidazione e ditte del tanto celebrato Made in Italy messe in difficoltà o addirittura strozzate dal mancato saldo delle forniture, e l’uso della cassa integrazione Covid durante la pandemia. Quindi le accuse, se confermate, sarebbero di danno agli azionisti, al mercato e falso in bilancio. È bene precisare che per questo filone la ministra non è ancora indagata per quanto, ovviamente, il fascicolo è al vaglio della magistratura. Forse è in casi come questi che una momentanea autosospensione sarebbe un atto dovuto, anche al fine di togliere un po’ di pressione agli inquirenti.

Sarebbero doverose soprattutto in virtù di quanto accade nel resto d’Europa, in Norvegia in particolare. Sono molti i “casi” veramente macchiettistici che hanno portato alle estreme conseguenze delle dimissioni.  Uno su tutti: quello dell’ex ministro della Pesca Per Sandberg (che rinunciò anche alla vicepresidenza del partito del Progresso). Il 13 agosto del 2018 fu costretto a rassegnare le dimissioni per aver infranto le regole di sicurezza durante un viaggio privato con un’ex miss Iran di cui si era innamorato. A luglio dello stesso anno- mentre si trovava in compagnia della sua partner – la ventottenne Bahareh Letnes – rifugiata in Norvegia, aveva portato con sé il cellulare di lavoro senza avvisare prima gli uffici del premier. Si, avete capito bene! Per avere portato con sé il cellulare ministeriale durante una vacanza privata. Troppo zelo? Basta chiederlo ai norvegesi, sicuramente più inclini nel rispettare una delle massime di Teodosio Macrobio: “Leges bonae ex malis moribus pro creantur”.