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Trento, 12 ottobre 2023, ore 14.30: ventitré gradi ad accompagnarci in questo meriggio d’autunno insolitamente caldo in cui si registrano temperature fino a sei gradi sopra la media; un autunno che pare quasi estate, un autunno che in realtà non vuole arrivare.
«Io sposo la tesi della ‘Carica dei 101’ – ha dichiarato Lorenzo Tedici, meteorologo del sito Il Meteo.it – siamo ancora a luglio, l’estate non è mai finita. Andiamo a festeggiare i cento ed un giorno del mese di luglio con temperature ancora una volta eccezionali per il mese di ottobre»: temperature eccezionali, quelle del mese in corso, che seguono quelle altrettanto straordinarie di settembre, considerato il nono mese “anormalmente più caldo di sempre” (lescienze.it).
Che il clima sia cambiato e che non ci siano più le stagioni “di una volta” lo sentiamo ripetere da anni, forse da decenni, ma mai, come nella bella stagione appena trascorsa, gli eventi meteo correlati hanno confermato questa tesi: nei primi venticinque giorni di luglio enormi incendi in Grecia hanno distrutto centinaia di ettari di bosco emettendo un milione di tonnellate di anidride.
Nello stesso periodo la Lombardia è stata colpita da una tempesta tropicale con raffiche di vento a più di cento chilometri all’ora che hanno abbattuto alberi, scoperchiato tetti, distrutto edifici e infrastrutture e paralizzato il trasporto pubblico. Il 26 luglio piogge torrenziali e venti feroci si son abbattuti su Cina e Filippine rimaste, per un’intera settimana, in balia del tifone Doksuri.
L’8 agosto è stato il turno dell’isola di Maui, devastata da un terribile incendio e dopo solo una manciata di giorni il fuoco ha sconvolto anche la provincia della Columbia britannica in Canada; fuoco e acqua in questa imprevedibile estate, acqua inarrestabile come quella che il 21 agosto ha devastato, con tutta la ferocia della tempesta tropicale, la California. Questi solo alcuni tra i disastri ambientali registrati, ad ogni latitudine e longitudine del globo, nei mesi estivi dell’anno in corso, disastri che da inizio 2023 han causato sessantadue mila vittime, centonovantaquattro miliardi di dollari di danni (canaleenergia.com) e che potrebbero esser tutti strettamente collegati alla crisi climatica che con buona pace dei negazionisti pare esser ormai certezza.
Ci ostiniamo a chiamarlo “maltempo” forse per illuderci della normalità e della ciclicità di questi eventi, ma di fatto in questi accadimenti, manifestazioni estreme e straordinarie di un cambiamento irreversibile che sta stravolgendo la natura e ciò che ci circonda, non c’è nulla di ordinario. Questa consapevolezza sta, di contro, riavvicinando moltissime persone all’ambiente, persone che osservando il deterioramento del pianeta si scoprono preoccupate, allarmate, impensierite, pervase, almeno in una parte peraltro crescente, da un vero e proprio sentimento di ansia di cui, anche sulla scia dei disastri cui abbiamo assistito, si è finalmente iniziato a parlare, togliendo quel velo di ritrosia e pudore che caratterizza tutte le condizioni di disagio emotivo.
Ne ho parlato con il dott. Matteo Innocenti, 32 anni, psichiatra, psicoterapeuta, ambasciatore del Patto europeo sul clima e autore del libro “Ecoansia” che con grande disponibilità e semplicità, quella che contraddistingue i profondi conoscitori di ogni materia, mi ha preso per mano ed aiutato a capire questo nuovo disturbo legato proprio al cambiamento climatico.
Dott. Innocenti, che cos’è l’ecoansia?
Nel 2017 l’American Psychological Association ha definito l’ecoansia una paura cronica del disastro ambientale; per me è uno stato emotivo esistenziale, pervasivo e permanente riferito alla paura della rovina ambientale ed agli eventi climatici estremi.
L’ecoansia è riferita solo alla possibile distruzione ambientale o anche alla possibilità che eventi estremi ci arrechino dei danni diretti?
Si dovrebbe operare una distinzione tra “ecoansia” che caratterizza il sentire di chi si preoccupa, in modo quasi altruistico, per l’ambiente ed il suo futuro e “ansia da cambiamento climatico” maggiormente focalizzata sulla possibilità di subire conseguenze dirette da tale cambiamento. Di fatto oggi a livello non accademico si racchiudono nel temine “ecoansia” entrambi i disagi.
Esistono cure e terapie per queste due tipologie di ansia?
Nell’ultima parte del mio libro illustro una proposta terapeutica basata sull’ “osservazione” e la comprensione congiunta della “paura” che il medico cercherà di fare accettare al paziente, paura che non essendo di tipo irrazionale non prevede trattamenti finalizzati alla razionalizzazione o alla destrutturazione ma che viene trattata similarmente a quanto accade nei casi di lutto, accompagnando la persona all’accettazione del mutamento in essere che sempre più spesso si manifesterà con eventi estremi. Si persegue inoltre una riconnessione del paziente alla natura anche tramite l’organizzazione di percorsi di forest bathing.
Il dott. Innocenti mi spiega poi come sia dimostrato che un drive emotivo maggiore per il cambiamento climatico spinga le persone ad attivarsi concretamente in azioni di salvaguardia e tutela dell’ambiente con politiche comportamentali maggiormente etiche e rispettose del mondo che ci circonda. Mi spiega inoltre che sovente chi soffre di questo disagio mette in atto una sorta di “evitamento protettivo” di fronte a notizie e/o immagini di manifestazioni estreme, evitamento che nella terapia dell’ecoansia non viene perseguito: al contrario, proponendosi l’accettazione del fenomeno, il trattamento si basa anche sull’ “osservazione” proattiva di immagini e video di disastri climatici finalizzata all’accoglimento consapevole di quanto accade. L’obiettivo è quello di far comprendere alle persone che questi eventi fanno e faranno parte della nuova normalità globale alla quale è necessario adattarsi consapevolmente.
Che le cose non miglioreranno, mi dice Innocenti, lo dimostrano le dichiarazioni di ExxonMobil: «Pochi giorni fa una delle più grandi aziende petrolifere ha dichiarato che molto probabilmente non riusciremo ad abbassare le emissioni in modo da stare sotto i 2 gradi di aumento entro il 2050 e non tanto perché i colossi petroliferi non vogliano perseguire questo risultato ma soprattutto perché le grandi industrie, anche quelle impegnate nella transizione ecologica, non riusciranno a limitare, in sede produttiva, la massiccia produzione di CO2 che sta alla base del cambiamento climatico. È fondamentale, anche alla luce di queste dichiarazioni, portare le persone ad accettare il fatto che molto probabilmente non si riuscirà a raggiungere i target imposti dalla Commissione di Parigi ed è quindi necessario acquisire nuove forme di adattamento funzionale ad un ambiente in mutazione verso quell’imprevedibilità climatica che tanto spaventa».
Trattandosi di una tematica senza grandi aspettative di ritorno chiedo infine al dott. Innocenti se sarebbe auspicabile promuovere degli interventi nelle scuole: «Stiamo cercando di entrare nelle scuole per sensibilizzare i giovani stimolando in loro comportamenti eco sostenibili e, al contempo, incoraggiando quella accettazione consapevole di cui tanto abbiamo parlato in poco sopra ma purtroppo stiamo riscontrando una certa resistenza da parte del corpo docente che mostra una sorta di ritrosia sia nei confronti della psicologia che nei confronti della stessa tematica. Ci auguriamo che piano piano le cose in questo senso cambino e che si capisca l’importanza di intervenire precocemente anche in questo contesto».
Io mi associo a quest’augurio del dott. Innocenti e con nuovo sapere in tasca torno a godere dei ventitré gradi trentini.