contenuto a cura di
Valentina Marsella
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Cristina Sartori
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Fotogrammi di una vita passata nell’ombra. Tracce indelebili di una latitanza, spesso lunghissima, eppure presenza costante nell’attività dei boss delle cosche mafiose. Biglietti strappati dalla lista della spesa, da un quaderno o da una rubrica, che racchiudono messaggi in codice e contabilità del business mafioso. Parliamo dei pizzini, termine che dal siciliano pizzinu indica un pezzettino di carta, protagonista della posta di stampo criminale, merce preziosa ma anche vero rebus per gli investigatori di tutto il mondo a caccia di primule rosse.


Dalla malavita alla politica, tra il 2006 e il 2007 la parola pizzino è uscita dal contesto di Cosa Nostra ed è entrata nel gergo giornalistico, allargando il proprio campo d’utilizzo. Sono stati definiti tali anche i messaggi scambiati tra deputati e senatori in Parlamento. Un episodio in particolare ha fatto la storia: scrittore infaticabile Francesco Cossiga, durante il lungo intervento di Romano Prodi durato circa novanta minuti, scrisse numerosi messaggi destinati a Franco Marini, Arturo Parisi, Francesco Rutelli, e infine a Massimo D’ Alema. Ma mentre i primi tre sorrisero divertiti di fronte al contenuto dei ‘pizzini’, il ministro degli Esteri, dopo averlo letto, lo rimise nella busta senza che dal suo volto trasparisse la benché minima reazione. Da allora i tristemente noti carteggi hanno assunto un lato anche ironico.


Non è così per i pizzini che hanno animato il dibattito degli ultimi mesi – e ancora oggi sono protagonisti -; quelli attribuiti a Matteo Messina Denaro, il boss super ricercato scomparso lo scorso 25 settembre dopo la sua cattura che ha fermato 30 anni di latitanza. Gli investigatori stanno passando al setaccio il suo carteggio fatto di messaggi con gli affiliati, con i membri della sua famiglia, con la donna con cui aveva una relazione: una ricostruzione minuziosa che va attribuita pizzino per pizzino a Diabolik, perché quello di cui spesso non si parla è che esiste un grande lavoro dei grafologi, dei periti e dei consulenti tecnici per risalire all’autenticità e alla paternità di quegli scritti fugaci come la latitanza di chi li crea.


I pizzini, molto spesso anonimi, hanno assunto la loro massima notorietà nel 2006, quando fu arrestato il boss Bernardo Provenzano dopo 43 anni di latitanza. Il capo dei capi tradito proprio da quei famosi foglietti di carta. Grazie all’intercettazione dei tanti bigliettini riconducibili a lui, con cui comunicava con la compagna, i figli e il resto del clan, fu scovato dagli uomini della Squadra mobile di Palermo nel bunker- nascondiglio in una masseria della sua Corleone. C’erano anche i pizzini che tra il 2003 e il 2006 Messina Denaro, tra ossequi e messaggi di fratellanza, aveva inviato a Zio Bernardo ‘garante di tutto e di tutti’ – così lo elogiava il boss di Castelvetrano – e addirittura ringraziandolo di adoperarsi ‘per la pace e l’armonia di tutti noi’. Una riverenza tipica della posta made in mafia. I pizzini resistono al tempo, e sono il mezzo di comunicazione più utilizzato nel contesto criminale, nonostante le cosche abbiano saputo trarre le potenzialità del progresso tecnologico e si siano adattate ai nuovi sistemi economico-sociali.


Ma entriamo nel mondo investigativo, quali informazioni è possibile ricavare da un pizzino? E quali accertamenti tecnico scientifici è necessario operare per acquisire le informazioni di interesse?
Di fronte ad un biglietto anonimo la prima necessità investigativo – giuridica è quella di stabilire la paternità dello scritto: chi ha vergato di pugno il pezzo di carta su cui ricade la nostra attenzione? Primario aiuto in tal senso è fornito dall’analisi grafologica di quanto di interesse che però può esser condotta solo se gli investigatori forniscono al grafologo forense del materiale comparativo di certa e incontestabile autografia. In questo caso l’attività del consulente tecnico sarà quella di applicare il metodo di riferimento per confermare, o al contrario escludere, la riconducibilità di uno scritto ad una mano.

Nel tempo, a completamento e supporto dell’indagine grafologica, si sono rivelate molto utili sia le intercettazioni telefoniche ed ambientali sia le indagini di linguistica forense che permettono di trovare riscontri laddove l’attività grafologica di identificazione di chi ha scritto il pizzino fosse penalizzata dall’esiguità o dalla qualità del materiale in esame ed ad uso comparativo. Le intercettazioni e le indagini linguistiche, infatti, attraverso un’attenta triangolazione delle informazioni, possono mettere in luce elementi a sostegno di quanto scritto, fornire evidenze investigative aggiuntive e permettere il disvelamento di connessioni e rapporti sconosciuti.

Del pizzino, inoltre, attraverso esami specifici sul tessuto cartaceo e/o sull’inchiostro, è possibile determinarne l’età approssimativa. Elemento, quest’ultimo, di fondamentale interesse per ricostruire passaggi, nessi e collegamenti. Anche l’indagine dattiloscopica, di esaltazione e comparazione di impronte digitali, può rivelarsi estremamente utile in quest’ambito e, al netto di contaminazioni dovute al frequente passaggio di mano dei pizzini, supportare le determinazioni raggiunte con le attività sin qui illustrate e/o fornire nuove evidenze identificative di estremo valore ed interesse investigativo.

Le indagini sui pizzini sono spesso lunghe e complesse e di frequente si svolgono a più riprese a mano a mano che viene acquisito materiale comparativo o integrativo e molti sono i professionisti, specializzati nelle diverse discipline, che, come visto, possono contribuire, con le loro specifiche conoscenze e competenze, alla ricerca della verità.