contenuto a cura di
Valentina Marsella
altri articoli
Cristina Sartori
altri articoli

Con l’arresto, 40 anni fa, di Enzo Tortora all’Hotel Plaza alle prime luci dell’alba, l’Italia si svegliò diversa e non fu più la stessa. Il conduttore di ‘Portobello’ è diventato da allora l’emblema della malagiustizia e dell’errore giudiziario che può colpire tutti, l’uomo sotto i riflettori e l’uomo qualunque. I casi sono a migliaia, ognuno con il suo calvario processuale e esistenziale. Ma quanti sono gli errori giudiziari in Italia? Quanti ogni anno finiscono in carcere o agli arresti domiciliari, salvo poi rivelarsi innocenti? Quanto spende lo Stato per risarcirli e quanti ottengono l’indennizzo del castigo subìto?

L’associazione Errorigiudiziari.com, fondata più di 25 anni fa dai giornalisti Valentino Maimone e Benedetto Lattanzi, approfondisce il fenomeno in Italia e scatta giorno dopo giorno la fotografia più attendibile degli innocenti che finiscono in manette. Gli ultimi dati pubblicati sul sito dell’associazione e aggiornati al 31 dicembre 2022 fanno impallidire. Tra le vittime di ingiusta detenzione e quelle di errori giudiziari dal 1991 al 2022 i casi sono stati 30.778: in media, poco più di 961 l’anno. Il tutto per una spesa complessiva dello Stato gigantesca, tra indennizzi e risarcimenti veri e propri: 932 milioni 937 mila euro e spiccioli, per una media di poco inferiore ai 29 milioni e 200 mila euro l’anno.

“Il contatore del 2022 – fa notare Errorigiudiziari.com – ha segnato ben 547 casi tra ingiuste detenzioni ed errori giudiziari (-25 rispetto all’anno precedente). In notevole crescita, invece, la spesa complessiva per indennizzi e risarcimenti: poco meno di 37 milioni e 330 mila euro, oltre 11 milioni e mezzo in più rispetto al 2021. Ma è la casistica dell’ingiusta detenzione a far emergere l’allarmante fenomeno: dal ‘92 al 2022, si sono registrati 30.556 casi, in media oltre 985 innocenti in custodia cautelare ogni anno. Il tutto per una spesa che supera gli 846 milioni e 655 mila euro in indennizzi, per una media di circa 27 milioni e 311 mila euro l’anno. Nel 2022 i casi di ingiusta detenzione sono stati 539, per una spesa complessiva in indennizzi di cui è stata disposta la liquidazione pari a 27 milioni 378 mila euro.

Per quanto riguarda le statistiche sugli errori giudiziari veri e propri, dal ‘91 al 2022 il totale è di 222, con una media che sfiora i 7 l’anno.  La spesa in risarcimenti è salita a 86.206.214 euro (pari a una media appena inferiore ai 2 milioni e 694 mila euro l’anno). Se invece consideriamo soltanto il 2022, da gennaio a dicembre gli errori giudiziari sono stati in tutto 8: uno in più rispetto all’anno precedente. Per il secondo anno consecutivo il dato complessivo relativo agli errori giudiziari resta sotto la soglia psicologica di 10.

Un occhio, infine, alla spesa totale in risarcimenti per errori giudiziari. Il 2022 ha visto schizzare clamorosamente questa voce di spesa: 9 milioni e 951 mila euro, oltre 7 volte in più rispetto allo scorso anno. “Ma a questo proposito è corretto ricordare – rileva Errorigiudiziari.com – che i criteri di elaborazione dei risarcimenti sono molto più discrezionali e variabili rispetto a quelli fissati invece dalla legge per l’ingiusta detenzione”. 

E allora diventa fondamentale il ruolo dei consulenti tecnici e dei periti. Quanto incide il loro operato sugli errori giudiziari? L’oggetto della perizia è disciplinato dall’art 220 cpp il quale recita: “la perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valuta-zioni che richiedono specifiche conoscenze tecniche scientifiche o artistiche”. Trattasi a tutti gli effetti di un “mezzo di prova” e rappresenta una delle fonti di convincimento del giudice sia nell’ambito penale che in quello civile; la naturale funzione del perito (o del consulente tecnico se si opera in sede civile) che opera dopo aver prestato giuramento di verità è quella di colmare le comprensibili lacune tecnico/scientifiche del giudice che, ovviamente, non può possedere una competenza in ogni sapere e deve avvalersi di soggetti terzi specializzati nella disciplina di interesse capaci di contribuire alla ricerca della verità.

Va da sé che sul punto diventa fondamentale la nomina di professionisti competenti, specializzati e verticalizzati nelle loro conoscenze, capaci di operare e contribuire alla ricerca della verità con onestà intellettuale e serietà professionale. A garanzia della loro preparazione gli ausiliari del giudice vengono scelti da quest’ultimo attingendo alle liste presenti nei diversi tribunali o in alternativa, trattandosi -quello tra giudice e consulente- di un rapporto fiduciario, nominando soggetti non iscritti alle liste di cui sopra purché in possesso dei requisiti tecnico scientifico di interesse.

Essi operano, al fine di garantire il contradditorio che caratterizza il nostro ordinamento, di concerto ai consulenti eventualmente nominati dalla parte che proporranno proprie valutazioni tecniche, orali e scritte, e potrebbero essere escussi in dibattimento attraverso l’esame incrociato con il perito stesso. Il giudice che ricevuto l’elaborato peritale decidesse di non accoglierlo è tenuto a motivare la sua scelta cosa che potrebbe esser fattibile laddove ci si scontrasse con questioni formali invalidanti ma diverrebbe molto più complessa se il non accoglimento fosse da imputarsi a motivi sostanziali difficili da cogliere e contestare difettando delle competenze per farlo (del resto se il giudice avesse avuto specifiche capacità non avrebbe nominato un ausiliario no?).

La riforma Cartabia, al fine di garantire la “qualità” professionale di consulenti e periti, ha stabilito i requisiti per l’iscrizione all’albo del tribunale e gli estremi di formazione continua necessari per poter continuare ad operare in ambito giudiziario. Da operatore del settore mi auguro che la magistratura con sempre maggior attenzione, anche alla luce della recente riforma, sappia rivolgersi al tecnico “giusto” e che i professionisti sappiano, dal canto loro, operare nel rispetto della loro preparazione e delle loro capacità senza voler valicare tali limiti accettando incarichi per i quali non sono debitamente formati e/o comprovatamente esperti: ancor’oggi assistiamo infatti troppe volte alla nomina di periti con formazione e competenze poco in linea con le necessità tecnico scientifiche del caso e questo ancor troppo diffuso atteggiamento delle parti può comportare macroscopici errori a livello investigativo con conseguente rallentamento o vanificazione degli sforzi profusi dagli operatori di giustizia impegnati nella ricerca della verità e la determinazione di macroscopici errori giudiziari a danno di persone innocenti. L’Affare Dreyfus insegna.