contenuto a cura di
Francesco Rossi
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Si dice spesso che il calcio sia un fenomeno sociale anche in senso lato. Non solo tifo e passione, ma perfino benefici in termini di sviluppo per il territorio e la comunità di appartenenza. Una sorta di taumaturgo gonfio di speranza e pieno di illusioni, perché a volte ci si arrocca e ci si aggrappa ai luoghi comuni come ancora di salvezza dei sogni che spesso rotolano via come un pallone calciato contro i tabelloni pubblicitari strozzando in gola l’urlo dell’esultanza. In parte può essere vero tutto ciò, dipende da molteplici situazioni e da una serie di fortunati fattori astrali. Alla base di tutto sta però la competenza di chi è al comando del Vapore.

Un esempio calzante, e quasi da “manuale del dirigente perfetto”, è senza dubbio Aurelio De Laurentiis. Non solo e non tanto per i risultati ottenuti sul campo, che sono la naturale conseguenza del lavoro svolto dietro la scrivania, soprattutto in virtù del fatto che vincere a Napoli è quasi un miracolo sportivo, quanto per i risvolti economici. Ricordiamo che ADL prese una società praticamente fallita che non aveva neanche un pallone con cui potersi allenare, diciotto anni dopo la SSC Napoli è diventata la principale fonte di guadagno del Gruppo Filmauro con il 93% del fatturato totale. E dire che il produttore cinematografico di pallone sapeva poco o nulla. Ad accompagnarlo sul viale dei trionfi è stata innanzitutto la sua indiscutibile lungimiranza da imprenditore. Il tutto mentre la metà delle società di calcio, soprattutto in Italia, sono in rosso costante e sempre sul filo di Arianna del fallimento. Macchine mangiasoldi senza fine in costante richiesta di aumenti di capitale da parte dei soci.

Il Napoli è una doppia eccezione perché oltre ad avere i conti in ordine crea anche profitti e dividendi. Che benefici ha effettivamente tratto la città dalla vittoria dello Scudetto? Sicuramente di immagine e di visibilità, più di quanto ne abbia già di suo, il che potrebbe fare da volano per un ulteriore incremento turistico. Una città interamente tappezzata di azzurro non è una cosa che capita sovente.  Sicuramente per tutto il comparto che gravita intorno alla squadra, merchandising in testa, alle cui spalle esercita una filiera imponente di attività produttive. E qui finisce, perché è ovvio che al tifoso da Bar dello sport nulla cambia con una sconfitta o con una vittoria. Ma è comunque tanta roba. Nell’era del calcio moderno 3.0, in cui spesso i calciatori rappresentano l’ultima posa dell’opera, tra i tanti fattori astrali da tenere in considerazione c’è sicuramente quello legato al territorio. Più è attrattivo, più ingolosisce, e quale migliore collante della squadra di calcio per un imprenditore fuori sede che voglia allargare il proprio giro d’affari?

Sempre più frequenti, infatti, sono i casi di proprietari arrivati da fuori, e non solo in grandi piazze. Un esempio è quello della Gelbison, società di Vallo della Lucania, in mano al siciliano Maurizio Puglisi che con la sua Puglisi Holding si occupa proprio dello sviluppo del territorio. Naturalmente rappresenta una piccolissima macchia nell’Oceano, anche perché nel nostro paese, oltre ai proprietari profeti in patria, stanno scomparendo le proprietà italiane soprattutto nei grandi Club diventati col tempo giocattoli sempre più costosi. Tra le sette sorelle ben quattro sono in mano straniere (Inter, Milan, Roma e Fiorentina) e la tendenza potrebbe non arrestarsi, con americani e fondi arabi sempre vigili sullo stato di salute delle nostre big.

Tutto ciò, se da un lato consente al tifoso di godersi le gesta della propria squadra del cuore, dall’altro non fa altro che cancellare quel poco di romanticismo rimasto. Mecenati come Moratti e Berlusconi sono destinati a restare nell’album dei ricordi, le due milanesi parlano cinese e americano e difficilmente torneranno ad esprimersi in meneghino.

La Roma dopo la dispendiosa e vincente era Sensi (prima tifoso, poi proprietario) è passata da Boston a Dallas. Dall’italo-americano ed esuberante Jim Pallotta – come non ricordare i tuffi nella fontana di Piazza del Popolo o i feroci battibecchi con la tifoseria- all’impassibile Dan Friedkin texano tutto d’un pezzo con sembianze da J.R..

Parole zero (in tre anni nessuna intervista rilasciata, neanche ai canali ufficiali del club), ma tanta sostanza basti vedere i colpi a sorpresa effettuati, da Mourinho in giù. Anche il dopo Moratti all’Inter è stato abbastanza travagliato con un doppio passaggio societario tutto asiatico. Dal thailandese Erik Thoir alla famiglia Zhang, cinese di Nanchino, e titolare del colosso Suning almeno fino al 2019 anno prima del Covid. La pandemia ha un po’ azzoppato i conti del Gruppo tant’è che la proprietà ha praticamente chiuso i rubinetti: tanto esce, tanto entra. Una sorta di autofinanziamento di regime. La stretta sugli investimenti per il rafforzamento della rosa però è dovuta anche alla circolare del governo di Pechino che da un paio di anni vieta l’impiego di capitali all’estero per attività secondarie, ed il calcio rientra in questa categoria. Unitamente alla grande mole debitoria che attanaglia la società di viale della Liberazione, è uno dei motivi per cui l’Inter, un giorno si e l’altro anche, si ritrova al centro di trattative e manovre per un altro passaggio di consegne.

Ogni giorno spunta un fondo arabo pronto allo scatto decisivo. Ma Steven non sente ragione: vuole tenersi la società ad ogni costo, anche se di fronte al 1,3 miliardi richiesti per una eventuale vendita non si opporrebbe. Anche per questo motivo continua la discussione con il Comune di Rozzano per la costruzione del nuovo stadio. Se riuscisse ad arrivare a dama, fosse solo per l’ok definitivo, il valore della società automaticamente schizzerebbe di un bel po’. Nuovo stadio che inizialmente doveva nascere in condivisone con il Milan, prima però che Elliott lo cedesse alla RedBird di Gerry Cardinale, con lo stesso che preferisce fare da solo. L’americano in un anno di Milan ha stravolto quasi tutto e tutti. Dai metodi di lavoro, con l’introduzione degli algoritmi per la ricerca di calciatori, alla sostituzione della vecchia dirigenza partendo da Paolo Maldini. Anche l’italo- canadese Joe Saputo, numero del Bologna, acquistata la società per riconoscenza verso il Bel Paese è passato alla fase-2, ovvero lo stadio; la sua battaglia sembra essere arrivata alla conclusione positiva: entro il 2024 inizieranno i lavori di ristrutturazione del Dall’Ara.

Un po’ più sentimentale l’acquisto della Fiorentina da parte di Rocco Commisso. L’imprenditore nato in Calabria, ma emigrato presto in America, ha chiesto alla moglie quale città italiana le piacesse ricevendo in cambio una risposta netta: Firenze. Così ha provveduto a chiudere la pratica con i Della Valle in poche settimane. Rocco è arrivato nel capoluogo gigliato animato da grandi ambizioni strutturali – stadio in primis– ma per adesso si è dovuto “accontentare” del Viola Park il centro sportivo più grande e all’avanguardia d’Europa, inaugurato poche settimane fa. Un complesso che una volta entrato a regime produrrà utili importanti, oltre al fatto di avere dato uno slancio importante alla patrimonializzazione della società a conferma del fatto che un papa straniero, come detto prima, non investe solo per la felicità della tifoseria ma lo fa innanzitutto per un riscontro economico derivante dal calcio direttamente ma anche dall’espansione del suo marchio aziendale. Commisso con Mediacom, i Friedkin con la Toyota e la catena di resort di lusso, gli Zhang con la vendita online e Cardinale con ramificazioni varie hanno già potuto testare e verificare l’importanza dell’essere anche proprietari di una società di calcio. Rimane loro l’ultima battaglia da vincere: abbattere la burocrazia e poter finalmente edificare nuovi impianti moderni ed efficienti aperti sette giorni su sette come avviene già in gran parte d’Europa.

L’Italia da questo punto di vista è una pepita d’oro. C’è un mondo da ricostruire, gli arabi lo sanno e aspettano solo il momento giusto per affondare il colpo definitivo. Chi per primo riuscirà a rompere questo muro posando la prima pietra avrà reso l’Italia calcistica un paese migliore.