contenuto a cura di
Francesco Rossi
Nell’era in cui si assiste sempre più a programmi fuori stagione può succedere anche di rivedere le streghe un mese dopo Halloween. E’ successo nella settimana appena trascorsa. Una settimana horror in cui è andato in scena un lungometraggio ricco di pluralismo di facciata e disarticolato, tra verità precostituite dall’ordine imperante del pensiero unico politicamente corretto, e sceneggiate napoletane. Un rimpallo del cattivo gusto di cui avremmo fatto volentieri a meno. Un polverone mediatico che ha avvolto ogni singolo caso. Abbiamo assistito ad un gioco degli specchi con riflessi di macabro in tutte le sue sfumature più nere.
Iniziamo dalla fine, dalla Nove. Da Fabio Fazio e dal suo “Che tempo che fa”, dove il trasloco su Discovery non ha certamente spostato gli equilibri del salotto, sempre prono ed allineato. Un tribunale dell’inquisizione in cui continua il modus operandi del processo senza udienze, dove non sono ammesse verità discoste, dove un giudice monocratico emette sentenze di condanne già scritte e certificate, pronte da dare in pasto al popolino bue che lo segue. Nell’ultima puntata si mette alla gogna l’uomo ed il patriarcato come nuova, ennesima, emergenza (dopo il Covid, la guerra in Ucraina, il clima, la guerra Mediorientale) e come nuovo male assoluto, di cui bisogna liberarsene immediatamente (preferibilmente assieme all’uomo).
Hegel sosteneva che la verità del processo sta nel Servo e non nel Signore e che il processo di liberazione coincide con la dinamica di liberazione del Servo che diventa consapevole di sé e della propria condizione. L’incantatore di serpenti Fazio, in versione Barone di Munchhausen, non poteva farsi sfuggire la ghiotta occasione di cavalcare l’onda anomala sollevatasi dopo l’omicidio di Giulia Cecchetin. Anomala perché, purtroppo, casi come quello della giovane veneta sono quasi all’ordine del giorno senza però che si sollevi alcuna indignazione di massa. Così il teorico dell’adynaton, nonché colonna portante dell’ordine dominante, ha estratto dal cilindro la più balzana delle idee: invitare nella propria trasmissione il padre della vittima, Gino Cecchettin.
Avendo, l’ospitato, lanciato nelle scorse settimane eloquenti segnali di fumo dalla fragranza neo-liberale, il Nostro eroe è andato a botta sicura certo di avere tra le mani lo scalpo della disumanizzazione dell’essere umano maschile. Così ha apparecchiato la tavola (bandita di taglienti coltelli) su cui è andata in scena il solito menu di casa Fazio, con l’immancabile dose di sticomitia come piatto del giorno. Tutto è filato per il verso giusto, tutto secondo scaletta. L’idillio, il quadretto agreste, la perfezione di uno scatto per l’irripetibile istante.
“Basta parlare da uomo a uomo”, ha sentenziato Cecchetin portando all’estrema sintesi un concetto costruito sui binari del qualunquismo cinto da una sequela di inezie incastrate l’un l’altra come i mattoncini della Lego. Creato ad arte per colpevolizzare tutto il genere maschile di patriarcato, che neanche fossimo a Costantinopoli. Ci mancava solo che tirasse in ballo Cetto Laqualunque con il suo “chiù pilu pi tutti”. Peccato che la reprimenda arrivi da un uomo che qualche anno prima si era divertito “ad amoreggiare” sui social. Ammiccamenti e commenti poco edificanti, quasi da luci rosse. Addirittura anche esperto di vibratori. Pochi mesi fa, o tempo addietro, poco importa.
Internet è diventato il nostro DNA virtuale in cui basta digitare una sola virgola per lasciare una traccia perenne. Quasi una seconda carta di identità. E’ tutto conservato nei cassetti digitali in maniera indelebile, ed è inutile scandalizzarsi se all’improvviso sbucano fuori per essere messi al “servizio” della comunità. Il contenuto di queste conversazioni ha scatenato una vera e propria bufera tanto da costringere il legale della famiglia a minacciare querele (anche per via di commenti dai toni minacciosi, che non devono esistere) chiedendo il massimo silenzio su questa vicenda. Ci permettiamo di dare all’avvocato un consiglio non richiesto: sarebbe più semplice (oltre che opportuno) se il suo assistito cambiasse “programma” ponendo fine alla spettacolarizzazione della morte della figlia, tra una comparsata in TV, ed una intervista sui giornali. Soprattutto quando si va all’attacco, ad alzo zero, accusando in maniera anacronistica, una forma di organizzazione familiare (il patriarcato) come causa principale della morte della figlia. Siamo chiaramente di fronte ad un caso di patafisica, la scienza delle soluzioni immaginarie inventata da Alfred Jarry. Abbattere qualcosa che non esiste più, il patriarcato, sparito dai radar 500 anni fa. Davvero esilarante, se non fosse tutto maledettamente vero.
Esilarante come la pantomima che ha visto coinvolta la ex deputata PD, Paola Concia. Tutto nasce da un’ideona del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, il quale, pensa bene di nominare proprio la Concia a capo del comitato di garanzia del progetto “Educare alle relazioni”, presentato per introdurre l’insegnamento dell’educazione affettiva nelle scuole.
Non passa neanche un minuto che si scatena il finimondo politico, soprattutto dal centrodestra. Con la Lega (partito di riferimento del ministro) sin da subito sul piede di guerra. Le pietre dello scandalo sono parecchie, intanto quella politica: mai nessun governo di sinistra ha pensato di rivolgersi ad un deputato avversario a cui conferire un incarico e non si capisce perché questa maggioranza dovrebbe porgere l’altra guancia o il ramoscello d’ulivo tanto più su un argomento alquanto delicato quanto divisivo, che diventa esplosivo se ad essere coinvolta è una figura fortemente ideologizzata, con una visione delle vita che spesso e volentieri si scontra con quella che è la visione d’insieme degli italiani.
Il punto ovviamente non è l’orientamento sessuale della Concia – ognuno è liberissimo di avere le preferenze che vuole – quanto il decalogo del buon samaritano secondo LGTB, di cui la stessa è una della attiviste più agguerrite e più convinte. L’essere umano 3.0 deve essere asessuato (una sorte di angelo terrestre senza ali), fluido (oggi mi sento donna, domani uomo, dopodomani chissà), liquido in tutte le sue manifestazioni per non incorrere in equivoci che possano in qualche maniera ricondurre al sesso di appartenenza. Bisogna, inoltre, eliminare dalla carta di identità qualsiasi riferimento, anche genitoriale. Basta mamma e papà, ma bensì genitore 1 e genitore 2. Solo per citare i casi più eclatanti del Concia – pensiero. Cosa abbia spinto Valditara a rivolgersi a lei è un mistero pari al terzo segreto di Fatima. Una scelta incomprensibile, quasi provocatoria, anche irrispettosa nei riguardi dei milioni di cattolici elettori del centrodestra, e nei confronti della Lega che non a caso è stata la prima a sobbalzare dalla sedia, e da cui sono partite richieste di dimissioni.
Come incomprensibile è la posizione di Fratelli d’Italia. Partito di maggioranza relativa del governo, e da sempre fiero promotore del motto mazziniano Dio, Patria e famiglia, come è possibile che abbia dato l’ok a questa operazione senza pensare alle feroci e pesanti ripercussioni? Non è infatti credibile (né auspicabile) che l’iniziativa sia partita su base autonoma con la Premier tenuta all’oscuro di tutto. Naturalmente sapeva, ed era d’accordo, dando vita all’ennesima giravolta di una leader sempre più fluida e sempre meno coerente. La repentina e inevitabile marcia indietro ha innescato il secondo round della bufera, questa volta con tutta la sinistra sulle barricate per lo smacco subito. I puristi dell’ideologia transgender già sognavano ad occhi aperti inebriati di felicità al solo pensiero di vedere le scuole trasformate in un grande Pride permanente.
Nulla di tutto ciò accadrà, almeno nell’immediato. Almeno di un ennesimo cambio di rotta della Meloni, abituata oramai a scorrazzare tra ripide e discese delle montagne russe (sperando di non urtare la sensibilità di nessuno, ma quelle ucraine devono ancora inventarle). La Concia per adesso deve accontentarsi della “vicinanza umana” del Presidente del Senato, La Russa (non ricordiamo da parte sua la stessa vicinanza nei confronti della famiglia di Camilla Canepa), e soprattutto dell’invito ad Atreju, la oramai consueta kermesse di FdI, la prima con l’abito governativo addosso. Ma non può esserci polemica che si rispetti senza qualche “buona” nuova dal fronte europeo. La polpetta avvelenata arriva dall’Eliseo, lanciata direttamente da Emmanuel Macron il quale, non contento di averci rifilato il pacco “Ursula” (l’attuale presidente infatti è stata scelta e imposta da lui), sta pensando a Mario Draghi quale successore della tedesca convinto com’è di una nuova vittoria della sinistra alle prossime votazioni di giugno.
Il vanesio ex premier italiano non aspetta altro che una nuova poltrona da mettere in bella mostra nella sua già abbondante collezione. Anzi, ne sarebbe entusiasta. Molto meno gli italiani ai quali toccherebbe convivere per cinque lunghi anni con un tecnico prestato alla politica che mai nella sua lunga carriera ha veramente rappresentato gli interessi della sua Nazione. Non ultimo da primo ministro. E con lo spettro MES che incombe sulla testa dei cittadini l’ombra dell’ex banchiere non è certo una bella prospettiva da lasciare tranquilli. E la Meloni in tutto questo? Facile: da Patriota quale crede d’essere appoggerebbe immediatamente, e senza remore, la candidatura di Super Mario.