contenuto a cura di
Francesco Rossi
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Per molti anni il calcio italiano, ed in particolar modo la Serie A, è stato sulla cresta dell’onda mediatica e tecnica. Una forza d’urto dirompente a cui tutte le altre leghe (non solo europee) guardavano con ammirazione quasi devota. Gli stadi (eccellenze per l’epoca), durante le partite, erano meta di pellegrinaggio come in una sorta di Giubileo calcistico, anche perché tutti i “santoni” del pallone sfilavano da protagonisti nei templi dorati del Bel Paese. Insomma, la Bella Epoque calcistica aveva i contorni del Tricolore.

La Premier League ancora non esisteva – nacque nel 1988, prima c’era la First Division– e la Liga spagnola faticava a tenere il passo, con il solo Real Madrid nel ruolo di battitore libero contro tutti. Infatti il Barcellona doveva ancora diventare grande, ed anche la nazionale delle Furie Rosse era ferma a “zero tituli”. Poco più che professionistici League 1 in Francia e Bundesliga in Germania. Conseguentemente anche l’interesse del paese verso questo sport era proporzionato al livello di competitività del sistema, ma non solo.

Tra Serie A, B e C oltre 100 squadre professionistiche ogni domenica calcavano i terreni di gioco con un ricambio stagionale importante tra promozioni e retrocessioni. Questo ha dato il là a incroci tra città e paesi, sono nati i derby e anche le stracittadine (cioè due squadre della stessa città), in molti casi. Così, partita dopo partita, quella che all’inizio doveva solo essere una sana e divertente rivalità, spesso si è trasformata in una competizione ad alto rischio.

La violenza ha iniziato a fare capolino negli stadi ed anche da contorno all’evento calcistico con i disordini che in talune circostanze cominciano all’esterno. Anche in questo l’Italia ha fatto da apripista; è vero, c’erano gli hooligans in Inghilterra (quasi una associazione terroristica, più che una tifoseria organizzata), e noi, purtroppo, siamo stati la vittima che più ha pagato in termini di sangue la ferocia di quei delinquenti con la strage dell’Heysel durante la finale di Coppa dei Campioni tra il Liverpool e la Juventus. Ma il vero fenomeno ha radici italiche, ed anche lontane con il primo caso che risale al 1920 al termine della partita tra la Lucchese e il Viareggio. Ci furono dei tafferugli tra la tifoseria locale ed i carabinieri ed a farne le spese fu il viareggino Augusto Morganti, che di quell’incontro fu guardialinee, rimasto ucciso dopo essere stato colpito dalla sparo di una carabina. Episodio avvenuto a bordo campo in quanto non esisteva ancora lo stadio vero e proprio. Siamo al 2 maggio del 1920. Sarà la pietra di un’escalation sempre più frequente. Anche se per registrare un nuovo episodio bisogna attendere 29 anni, il 28 marzo del 1949 per l’esattezza. Ci troviamo in Puglia, in provincia di Lecce, campionato di II divisione. Si affrontano Supersano e Ruffano due paesini confinanti, già in tensione tra loro soprattutto a causa di strascichi post guerra.

La partita di calcio è solo il pretesto per darsele di santa ragione, infatti gli scontri avvengono fuori dal campo di gioco e Antonio Prete sarà la prima vittima all’esterno. Ancora una volta episodio locale dopo i fatti del derby di Lucca. Nove anni dopo, il 30 novembre del 1958, i confini della tragedia travalicano il recinto di casa. Quel giorno si disputa Milan -Fiorentina, ma questa volta è il diavolo a metterci la coda. Durante lo svolgimento del primo tempo scoppia una rissa tra migliaia di tifosi senza biglietto, che spingono per entrare ugualmente, e le forze dell’ordine. Nella concitata confusione Giordano Guarisco, 17 anni, viene travolto e calpestato da una folla esagitata e inferocita. Morirà il giorno dopo.

La prima vera guerriglia dentro uno stadio avviene al “Vestuti” di Salerno, stracolmo con oltre 15000 persone presenti, in occasione dell’incontro tra la squadra locale ed il Potenza in cui c’è in ballo il primo posto. E’ domenica 28 aprile del 1963. Ad alimentare il carbone già ardente di suo ci pensa l’arbitro, l’alessandrino Gandiolo. Dopo una direzione di gara irritante e quasi provocatoria, che aveva già esasperato il pubblico, è al 79’ che si compie il dramma: la giacchetta nera nega un rigore netto ai padroni di casa e scoppia il finimondo. Parte dei tifosi invade il terreno, l’arbitro viene colpito con un pugno al volto succede di tutto. Ma non finisce qui perché la follia si trasferisce per le strade dove si protrae per altre cinque ore con un bilancio devastante: 1 morto, 21 feriti e 36 contusi. La vittima è Giuseppe Plaitano.

Da Salerno a Roma, il passo è breve l’arco temporale per fortuna no. Passeranno infatti 16 anni quando, durante un Lazio-Roma del 28 ottobre 1979, Vincenzo Paparelli tifoso biancazzurro seduto in curva nord, viene centrato in pieno viso da un razzo lanciato dalla curva opposta. Una traiettoria di 150 metri che non gli lascia scampo. Ancora oggi viene quasi sempre ricordato in occasione della stracittadina. Ma è allo stadio “F.lli Ballarin” di San Benedetto del Tronto che si compie forse l’atto più atroce e assurdo in assoluto. Succede che le scorte di coriandoli ammassate ai piedi della curva, assiepata in ordine di posto, improvvisamente prendono fuoco causato dal lancio dei bengala. Le fiamme si propagano velocemente anche a causa del forte vento che spirava in quel momento, investendo in maniera violenta due ragazze: Carla Bisirri e Maria Teresa Napoleoni.  Moriranno qualche giorno dopo in ospedale al culmine di una sofferenza terrificante. La tragica fatalità viaggia anche sui binari ferroviari sanguinanti di orrore.

Succede che a causa di tre disastri distinti ci rimettano la vita sei persone. Il primo è datato 21 marzo 1982, il treno è l’Espresso 709 “Milano-Roma” e viaggia spedito in direzione della Capitale, ma all’altezza di Sant’Oreste non distante da Roma, un vagone prende improvvisamente fuoco. La grande quantità di fumo non lascerà scampo ad Andrea Vitone, appena 13enne, di rientro dalla trasferta di Bologna della sua Roma. Ancora Roma protagonista anche per il secondo episodio avvenuto a Ponte Galeria il 13 aprile del 1986. Il treno è sempre un Espresso, ma questa volte si nette di mezzo il dolo. A causare il rogo è l’accensione di un fumogeno dello lo scompartimento. Lo scoppio colpisce una tendina del finestrino che in pochi secondi causa un grosso incendio. E’ caos totale, nel fuggi fuggi generale un ragazzino di 16 anni, Paolo Saroli rimane atterra intrappolato svenendo pochi minuti dopo e morendo nel sonno a causa dell’ossido di carbonio e dei passeggeri che gli passeranno sopra. La terza ed ultima sciagura si consuma sul treno “speciale” (ossia solo di tifosi) 1681 “Piacenza Salerno” su cui viaggiano circa 1500 tifosi del capoluogo campano di ritorno dall’amara trasferta emiliana. Amara perché ha sancito la retrocessione in B dei granata. L’atmosfera a bordo è sin da subito pesante, con alcune frange di sostenitori particolarmente esagitata. Ma da qui a prevedere la tragedia ce ne passa. Purtroppo, accade. Alle porte di Salerno, all’interno della Galleria Santa Lucia. A provocarlo gli stessi tifosi per evitare l’identificazione da parte della polizia una volta giunti in stazione. Identificazione prevista a causa del loro comportamento durante tutto il folle viaggio che si concluderà come peggio non potrebbe, ovvero con 4 vittime. Due appena quindicenni, mentre hanno rispettivamente 21 e 23 anni le altre due.