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Ferdinando Croce
È di un anno fa la decisione del Governo italiano di costituire con decreto del Presidente del Consiglio, non appena insediato, un “nuovo” Ministro senza portafoglio per la Protezione civile.
In particolare, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 novembre 2022 è stato delegato al predetto Ministro l’esercizio delle funzioni di coordinamento, indirizzo, promozione di iniziative anche normative, vigilanza e verifica, nonché di ogni altra funzione attribuita dalle vigenti disposizioni al Presidente del Consiglio dei Ministri in materia di protezione civile, superamento delle emergenze e ricostruzione civile.
L’articolo 2 del predetto decreto prevede in particolare che il Ministro “è delegato ad esercitare le funzioni attribuite al Presidente del Consiglio dei ministri in materia di protezione civile di cui al decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1 ivi comprese le funzioni di indirizzo politico in qualità di autorità nazionale di protezione civile e titolare delle politiche in materia, nonché di indirizzo e coordinamento del Servizio nazionale della protezione civile e di unitaria rappresentanza nazionale presso l’Unione europea e gli organismi internazionali in materia di protezione civile”
Interessante appare altresì quanto previsto dall’articolo 3 del decreto, che attribuisce al medesimo Ministro la delega all’esercizio di funzioni in materia di superamento delle emergenze e di “ricostruzione civile”, sintomatica di un’evoluzione del modo di pensare la moderna protezione civile.
Se così stanno le cose, è lecito osservare che a conclusione del primo ventennio del secolo corrente e, segnatamente, all’indomani dell’emergenza pandemica, l’ordinamento avrebbe riscontrato una novità nell’ambito dei rapporti sociali, che discenderebbe in particolare dalla opportunità di approntare un canale di collegamento più stringente tra Amministrazione e comunità nel delicato settore della prevenzione e della gestione delle emergenze assegnate alla cura della Protezione civile.
In altre parole ancora, saremmo in presenza di una nuova istanza sociale che pretende non solo una maggiore reattività all’evento emergenziale ma, soprattutto, un rafforzamento della sensibilità che il decisore pubblico è chiamato a possedere in ordine al grado di rilevanza, per gli amministrati, di un fatto emergenziale.
La conclusione, in definitiva, a cui sembra addivenire il Governo nazionale è quella di attribuire al settore storicamente “tecnocratico” della Protezione civile un vertice di estrazione dichiaratamente politica.
Si tratta in qualche modo di un “ritorno alle origini”, a distanza di trent’anni dall’ultima figura che ha ricoperto analogo ruolo, ma con delle significative differenziazioni da porre in evidenza. Si ricorda che l’ultimo Ministro – senza portafoglio – per il coordinamento della Protezione civile è stato Ferdinando Facchiano, incaricato nel primo Governo Amato, dal 28 giugno 1992 al 29 aprile 1993. Successivamente, nei Governi Ciampi, Berlusconi I e Dini le attribuzioni sono state trattenute dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri a mezzo di propri Sottosegretari di Stato alla Presidenza. Dal primo Governo Prodi fino al secondo Governo Amato, la delega per il coordinamento della Protezione civile è stata assegnata al Ministro dell’Interno di volta in volta incaricato. Infine, per lungo tempo la delega è integralmente scomparsa dalle attribuzioni ministeriali e viceministeriali degli Esecutivi incaricati fino, per l’appunto, al corrente Governo Meloni, in seno al quale è stato istituito il “nuovo” Ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare, nella persona del Sen. Sebastiano Musumeci, detto Nello.
Il Dicastero (rectius, il Ministro) di recente istituzione, infatti, per come configurato sia con riferimento alla sua esatta denominazione che, soprattutto, alla rimodulazione dei Dipartimenti che affiancano il vertice politico nell’attuazione degli obiettivi programmatici,
si presenta a ben vedere come una struttura del tutto innovativa e connotata da tratti di originalità forse in precedenza mai emersi nella storia repubblicana dell’architettura istituzionale dedicata al settore della Protezione civile.
Non si discute più, infatti, di un Ministro “per il coordinamento” della Protezione civile, espressione quest’ultima che testimoniava chiaramente il ruolo, per così dire, ancillare e di mera regia di un compendio di interventi che tuttavia non transitavano dall’esercizio di un potere decisionale proprio e diretto. Si discetta oggi di un vero e proprio Ministro “per la Protezione civile” che, da quanto è dato osservare, assume la responsabilità politica, sia pur sempre su delega del Presidente del Consiglio, delle iniziative e delle azioni da porre in essere.
“La decisione del Presidente del Consiglio di affidare questa delega a un Ministro – ancorché senza portafoglio – ha segnato il ritorno di una guida politica dopo vent’anni di gestione tecnica. I due Dipartimenti che affiancano il Ministro per la Protezione civile sono quello stesso della Protezione civile e quello di Casa Italia, che si occupano rispettivamente delle emergenze e della ricostruzione … Stiamo cercando di ridare ordine a un settore dove regnava il caos per una polverizzazione di competenze che non ha certo facilitato processi ricostruttivi celeri ed efficienti … il Governo sta mettendo mano alla riforma del Codice della protezione civile che, pur risalendo al 2017, ha diverse parti no più attuali … il mio compito di Ministro è quello di mettere al primo posto delle priorità la prevenzione, assieme a una gestione efficiente delle emergenze e a procedure di ricostruzione più snelle ed efficaci” (Intervista con il ministro della Protezione civile e delle Politiche del Mare a un anno dal suo insediamento, Gazzetta del Sud, 12 novembre 2023).
In disparte per un momento quanto sopra, a voler passare in rassegna un sintetico elenco degli eventi emergenziali via via verificatisi, si osserva che dalla data di istituzione della predetta figura ministeriale le cronache nazionali hanno dato risalto ed evidenza, nell’ordine e senza pretesa di esaustività: ai crolli di Ischia; alle alluvioni invernali nel territorio della provincia di Messina e in Emilia Romagna; all’emergenza maltempo nelle Marche; al terremoto in alta Umbria; all’ulteriore grave emergenza maltempo nell’Emilia Romagna; al rischio bradisismo nei Campi Flegrei; ai funesti fatti alluvionali della Toscana.
Si tratta di un rilevante novero di eventi calamitosi, specie se rapportati al ristretto tempo in cui si sono verificati, che a un osservatore distratto o peggio fazioso farebbe istintivamente affermare che il Governo in carica, promotore dell’iniziativa di istituire un apposito Ministro, non godrebbe di una buona stella.
Ma a una lettura più approfondita, quel che è invece è straordinariamente vero è che la scelta dell’Esecutivo nazionale di riportare al centro del dibattito e di ricondurre a una gestione dichiaratamente politica, dopo decenni di tecnocrazia in subiecta materia, gli eventi emergenziali del quotidiano e, in genere, il settore della Protezione civile ha da un lato assegnato una connotazione esteriore alla trattazione di problematiche in precedenza affrontate esclusivamente a livello di interna corporis. Per altro verso, ha rappresentato il tempestivo recepimento dell’evoluzione e delle trasformazioni economiche, sociali e soprattutto ambientali di cui il moderno legislatore e, a cascata, i decisori pubblici non potevano e non potranno non tener conto.
È stato osservato che mentre il XX secolo è stato autorevolmente definito come il “secolo breve”, i primi ventitré anni del XXI secolo sono stati caratterizzati, senza soluzione di continuità, da una lunga serie di emergenze. Basti ricordare innanzitutto l’emergenza del terrorismo, a cui hanno fatto seguito le emergenze sismiche, climatiche, economico-finanziarie, ovviamente quelle sanitarie ed epidemiologiche e, infine, quelle di ordine e sicurezza pubblica e belliche.
In ragione dei fatti come sopra richiamati, la reazione dell’ordinamento alla necessità di apprestare adeguate politiche non soltanto di tutela ma soprattutto di prevenzione dei fatti emergenziali è stata quella di intervenire sull’assetto istituzionale.
Quanto peraltro già specularmente avvenuto in Italia alla fine degli anni ’70 del secolo scorso quando una significativa sequela di avvenimenti calamitosi o, comunque, forieri di forte allarme sociale (dal terremoto in Irpinia alla tragedia di Vermicino) indusse il Capo dello Stato del tempo, Sandro Pertini, a lanciare un chiaro monito alle Istituzioni affinché provvedessero a garantire l’attivazione di forme efficaci di gestione delle emergenze.
Ebbene, se i decenni trascorsi sono certamente serviti a mettere ordine e a fare chiarezza in relazione alla gestione della fase successiva al verificarsi delle calamità naturali, ad esempio con la consapevolezza di dover costantemente appostare adeguate e congrue risorse nei capitoli di bilancio dedicati alle plurime (e prolungate) iniziative di ricostruzione post-emergenziali o, ancora, a favorire l’intervento tempestivo di una rete di soccorsi in grado di fronteggiare, nell’immediatezza, ogni genere di evento avverso, v’è da osservare che, ancora, un significativo gap da colmare riguarderebbe invece quella che, nella impostazione prismatica della funzione amministrativa di Protezione civile, riguarda la distinta (e preliminare) fase della prevenzione.
Un simile bisogno discende in primo luogo dalle nuove fragilità del territorio, prima sconosciute, che sono direttamente collegate ai cambiamenti climatici e riguardano fenomeni, naturali e non solo, quali: il dissesto idrogeologico, l’erosione costiera, la vetustà dell’edilizia pubblica e privata in chiave antisismica, la siccità e le crisi idriche che ne conseguono, il contrasto all’abusivismo edilizio etc.
E allora, forse, con il tassello dell’istituzione di un Ministro “per la Protezione civile” – a cui dovrebbe aggiungersi, come è stato annunciato da Nello Musumeci, l’imminente riforma del Codice del 2018 – si aspira per la prima volta a che non sia l’organizzazione amministrativa a “inseguire” l’evento emergenziale ma quest’ultimo, all’atto del suo prorompente ed evidentemente inevitabile verificarsi, a ritrovarsi dinanzi un assetto – politico, prima ancora che burocratico – pronto a porre in essere i numerosi adempimenti richiesti, quali a mero titolo di esempio: la convocazione dei tavoli di crisi; le iniziative di rassicurazione delle popolazioni mediante adeguate politiche di comunicazione; l’attivazione delle consultazioni con gli uffici finanziari e legislativi, rispettivamente, per il reperimento delle risorse e per la predisposizione dei testi di decretazione d’urgenza da sottoporre all’esame del Consiglio dei Ministri; la deliberazione in tempi rapidissimi dello stato d’emergenza e la conseguente attivazione della macchina dei soccorsi e della ricostruzione.
Questa constatazione, beninteso, non può e non deve far torto al sistema previgente e segnatamente al consolidato funzionamento del Dipartimento della Protezione civile. Tuttavia, l’effetto di tempestività che la reintroduzione nell’ordinamento di un Ministro “delegato” consente di realizzare non si verifica allo stesso modo e con la necessaria intensità mediante lo schema classico Presidente del Consiglio/Capo del Dipartimento di Protezione civile, e ciò per più ordini di ragioni:
1) per una più elevata e immediata percezione sociale e territoriale dei fenomeni che inevitabilmente possiede l’organo politico, anche per effetto delle sollecitazioni degli organi di comunicazione e degli stakeholders;
2) per la più spiccata capacità di un Ministro di disporre e attivare direttamente le diramazioni del Servizio nazionale sia a livello piramidale che policentrico;
3) per la partecipazione in prima persona del Ministro per la Protezione civile al Consiglio dei Ministri, che consente a quest’ultimo – anzi, lo abilita – a rappresentare in tempo reale al Capo del Governo e ai Colleghi titolari dei Dicasteri muniti di portafoglio, a partire da quello preposto all’Interno, la gravità di un dato fenomeno e ad esercitare, nella dialettica tipica di ogni organo collegiale, la giusta moral suasion per ottenere l’approvazione dei necessari provvedimenti;
4) per la enucleazione di una opportuna differenziazione con i compiti attribuiti al Ministro dell’Interno, sempre più proteso, da un lato, verso ruoli di rappresentanza istituzionale e contrasto alla criminalità organizzata anche internazionale e, in ogni caso, maggiormente preposto alla coltivazione delle politiche di ordine e sicurezza che non a quelle, tipiche della Protezione civile, di soccorso, assistenza alle popolazioni e difesa civile e, last but not least, di utilizzo in chiave di sussidiarietà orizzontale di corpi e strutture appartenenti al mondo del volontariato organizzato;
5) per la contestuale trasformazione, negli ultimi anni, della stessa figura del Presidente del Consiglio dei Ministri, da cui tuttora dipende il Dipartimento nazionale della Protezione civile, a cagione – a titolo di esempio – dell’evidente aumento dei gravosi e molteplici impegni, specie in materia di politica comunitaria ed estera, a cui lo stesso deve far fronte. Stiamo così assistendo al ritorno dell’assetto ministeriale, con l’individuazione di un responsabile del settore della Protezione civile che è, al tempo stesso, guida politica e vertice gerarchico dell’apparato burocratico piramidale funzionalmente dipendente dal Ministro di riferimento. Il perseguimento e la cura del particolare interesse pubblico in commento vengono quindi ricondotti all’organo centrale statuale perché quest’ultimo assomma, secondo l’insegnamento dell’articolo 95 della Costituzione, competenze al tempo stesso gestionali e politiche e, in quanto tale, risulta maggiormente in grado di cogliere le esigenze che la collettività pone come priorità rispetto a quelle più strettamente burocratiche, rispettando il limite imposto dal diritto ma nel contempo sfruttando al meglio quello spazio di libertà interno alla cornice legalitaria individuata.
Alla luce di quanto fin qui osservato, la soluzione più chiara e al tempo stesso agevole, senza con ciò riecheggiare gli spettri del passato in ordine a una supposta confusione e sovrapposizione tra competenze appartenenti a differenti ordini governativi, appare quella, de jure condendo, di attribuire al Ministro della Protezione civile un proprio portafoglio e, in definitiva, di istituire, con apposito provvedimento legislativo, il Ministero della Protezione civile.
Il ricorso a un simile schema costituisce, a ben vedere, la riedizione di quanto avvenuto con riferimento al Servizio sanitario nazionale – che per molti tratti è assimilabile, ad esempio per l’organizzazione a rete e “centrifuga”, al Sistema nazionale di Protezione civile – istituito nel 1978 e alla cui titolarità e coordinamento fu preposto il Ministero della Sanità, peraltro a quel tempo di recente istituzione.