contenuto a cura di
Francesco Rossi
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“Come sei vecchio, come sei antico”, oppure “Scialla, boomer”. Quante volte è successo di ascoltare queste affermazioni o addirittura sentirsele dire direttamente? Sicuramente tante volte, forse anche troppe. Figlie di un solco culturale più profondo di quanto non lo sia la distanza anagrafica. La situazione è abbastanza surreale in quanto, questa volta, il tempo è stato amico ed alleato dei boomer rispetto ai millenials avendo, i primi, vissuto l’era precedente a quella attuale di cui nella sostanza è rimasto ben poco se non negli archivi dei ricordi.

Anche se qualcosa si muove, come i personaggi di Spielberg che a volte ritornano. Un’era in cui è andato in scena (ed anche in onda) l’espressione massima, e per certi versi irripetibile, del meglio in circolazione. Una sorta di fiera permanente della grande bellezza. Per questo il cambiamento è stato traumatico, quasi antropologico, radicale in tutte le sue forme, devastante come una forte grandinata sui campi di raccolto. È di fatto mancato il passaggio di consegne, la via di mezzo che accompagnasse gradualmente il cambiamento. Uno stacco netto che ha impedito il regolare turnover. Tutto è avvenuto alla velocità della luce, in maniera frenetica. Tanta roba e tutta assieme, tanto che ora si ha l’impressione di vivere una fase di impasse, uno stallo quasi fisiologico dopo la grande trasformazione che ha polverizzato tutto ciò che ha incontrato sulla sua strada.

Cosa resterà degli anni ‘80 si chiedeva Raf in tempi non sospetti, credendo, come tutti, che si trattasse di una navigazione a velocità di crociera moderata. Nessuno immaginava che potesse essere un nuovo Titanic (doppio, in verità…) tanto più che sarebbe andato scontrandosi con l’iceberg del relativismo postmoderno inabissandosi con tutto il carico di rinascimento che negli anni aveva reso grande l’Italia e celebre in tutto il mondo il made in Italy. Con la stessa rapidità con cui ci si è andati giù si è compiuto il trapasso verso il decadentismo che non ha risparmiato niente e nessuno. Musica, cinema, abbigliamento, TV, giornali, tecnologia e persino auto.

Da questa tempesta imperfetta si è fino ad ora salvata solo la cucina, nonostante i tentativi da Bruxelles di imporci blatte, cavallette e carne sintetica stampata in 3D. O i continui attacchi alla dieta Mediterranea. Eccellenze da tenete strette dopo aver mollato gli ormeggi su altro.

Come sul Festival di Sanremo, da sempre icona di sublimità della canzone italiana, sin dalla prima edizione radiofonica. Un’icona che, edizione dopo edizione, rischia seriamente di offuscarsi definitivamente a causa del livello sempre più scadente e anche trash degli ultimi anni. Una volta per calcare il prestigioso palco dell’Ariston bisognava essere dei mostri sacri, come i ricercatori di Harvard College. C’era poi la categoria giovani promesse che arrivavano direttamente da Castrocaro dopo una accurata selezione. Chi la vinceva l’anno successivo si esibiva con i big. Oggi, già da almeno un decennio, tutto è cancellato. Il palco è diventato un via vai di personaggi improbabili, spesso volgari nell’approccio, sconosciuti fino al giorno prima ma issati al titolo nobiliare di big (di che?). Gente che, nel giro di qualche anno, sparisce ed evapora nella scarsezza imbarazzante da cui proviene, senza lasciare tracce. Macchiette insignificanti. Di musica ovviamente neanche a parlarne. Anche grazie a questo fenomeno da baraccone che i vecchi successi del passato resistono e non mollano anzi, raddoppiano.

La musica anni ‘80 è praticamente immancabile in qualsiasi festa. Dal passato, come in un viaggio nella macchina del tempo, sta tornando in voga anche il mitico giradischi con la sua storica puntina, che tanto ha fatto ammattire intere generazioni. Dopo essere stato soppiantato dal CD prima e dall’Mp3 poi, il vinile vive una nuova stagione dell’amore. Sono infatti sempre più le nuove generazioni che si stanno avvicinando a questo strano oggetto nonostante i prezzi non proprio popolari. Il perché di questo ritorno di fiamma si può sintetizzare in varie sfaccettature. Il basso grado dell’offerta musicale attuale, ma anche l’aver toccato la vetta più alta dal punto di vista tecnologico. Essendo praticamente impossibile andare oltre quanto raggiunto, si torna al via come nel gioco dell’oca. In virtù di tutto ciò da non escludere in futuro anche la riesumazione delle cassette con nastro, altra figura cult dei decenni scorsi. Naturalmente non tutto è rosa e fiori perché la maggioranza della new generation si fa trasportare e si esalta per il nuovo che avanza.

Così come per la moda, dove però, il mare magnum in cui pescare è molto più vasto e variegato. Al classico e sportivo di antica memoria, si è aggiunta la linea stravagante, a volte bizzarra, sicuramente fuori dagli schemi degli ultimi 15 anni. Questa categoria va divisa in due parti: quella costosa e da passerelle parigine, e quella del popolo da mercatino rionale molto in voga tra i giovani. Una nicchia che cresce vertiginosamente e che rischia di mettere all’angolo ciò che ancora rimane del casual. Il quale deve combattere, e reinventarsi, per non farsi schiacciare nella morsa dell’oblio. E qui potrebbe giungere in suo soccorso la moda in bianco e nero. Se jeans a zampa di elefante, Rayban a gocce e stivali camperos hanno brillantemente resistito nel tempo, ecco che da qualche tempo inizia a rispuntare la giacca di montone, indumento anche di un certo valore, che ha letteralmente spopolato negli anni ‘70 e ‘80. Abbiamo due versioni: il modello storico e quello leggermente riveduto, e già in bella mostra in alcune vetrine.  La nostalgia canaglia ha colpito anche la TV.

Mediaset ha riproposto la nuova versione di “Dallas”, soap opera degli anni ‘80, di grandissimo successo diventata quasi un monumento. Protagonisti sempre Pamela e J.R., nonostante gli sforzi, scarsi risultati e poco appeal. La RAI ha tentato la carta di due trasmissioni molto più che storiche: “Lascio o raddoppio” e “Il pranzo è servito”, che però andava in onda su Canale 5. È andata male in entrambi i casi. Passare da Mike Bongiorno a Fabio Fazio è come pretendere di sciare nel deserto del Sahara a Ferragosto. Inadeguato anche Flavio Insinna nei panni di Corrado. L’operazione “ritorno al passato” potrebbe presto arricchirsi della nuova edizione de “La ruota della fortuna” che da Cologno Monzese vorrebbero rilanciare ed affidare a Gerry Scotti.

Anche alcune case automobilistiche non hanno resistito al richiamo vintage come operazione nostalgia. Ha iniziato la Fiat (oggi Stellantis) riproponendo prima la 500 e poi la 600. E sono in cantiere il ritorno della Uno e della Ritmo. Anche i cugini dell’Alfa Romeo hanno riproposto la Giulietta, seppur totalmente diversa rispetto al modello originale. La tedesca Volkswagen, dopo varie versioni della Golf, ha da poco tirato fuori dal cassetto la nuova veste del Westfalia, un ibrido tra un mini-camper ed un’auto spaziosa, che ha scorrazzato le strade di tutta Europa. Oggi si chiama Buzz, ma il richiamo al passato è molto forte e tangibile. Come fu per la riedizione del nuovo Maggiolone che tanto successo riscontrò.

Ma è direttamente dai freddi fondali dell’Oceano Atlantico che arriva quella che in assoluto è la rinascita più impattante e attesa di tutte: il nuovo Titanic. La Blue Star Line, la compagnia che si è gettata e capo fitto nel progetto, ha già aperto il cantiere. Tutto procede, nonostante ci sia del ritardo nella consegna, perché tutto deve essere fatto alla perfezione in quella che di fatto è copia identica della precedente. Anche percorso e data del viaggio inaugurale saranno gli stessi.  Alzi la mano chi non sta toccando ferro.