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Uno dei vantaggi di quando artisti con grande visibilità fanno “dischi tributo” è che spesso
ricordano al grande pubblico l’esistenza di quel certo genere, stile o artista tributato. Verso la fine
del 2022 molto clamore ha suscitato il “disco soul” di Bruce Springsteen (“Only the strong
survive”) che però si è rivelato incentrato sulla versione più pop, edulcorata e finta del nobile
genere musicale che negli anni ’60 sostituì il blues nei gusti della popolazione afroamericana degli
USA e si impose immediatamente come ingrediente imprescindibile per la musica da ballo di tutto
il mondo.
Se, però, vi piace l’idea di tornare ad ascoltare del buon soul andando un po’ oltre i classici, e
magari puntando su qualche nuovo talento, vi consiglio l’ottimo “Down every road” di Eli
Paperboy Reed, uscito nell’aprile del 2022. Lo stesso consiglio vale per gli amanti del country più
classico ed è legittimo chiedersene il perché… ecco la storia.
“Down every road” era il titolo di un cofanetto, pubblicato nel 1994, che raccoglieva una generosa
selezione (100 canzoni) tra le più belle scritte ed interpretate da Merle Haggard, padre della country
music classica di scuola Bakersfield, in decenni di carriera. Eli Reed non ha fatto altro che scegliere
le sue 12 preferite dal suddetto cofanetto e inciderle in un disco a suo nome, ma non prima di averle
fatte proprie, sottoponendole al “trattamento Paperboy” che prevede la trasformazione in vecchia
soul music di scuola Stax di qualunque cosa canti. Una specie di Re Mida in salsa Memphis.
L’operazione in sé ricorda un po’ l’LP “Modern sounds in country and western music” con cui Ray
Charles nel 1962 sbalordì il mondo reinterpretando a modo suo le canzoni hillbilly (genere antenato
del country) che ascoltava alla radio da bambino. Il che ci ricorda anche che i gusti del pubblico
spesso prescindono da rigide etichette commerciali, e che musicisti di provenienze diverse hanno
sempre amato confrontarsi con generi diversi e incorporarne gli ingredienti nella propria musica.
Il risultato è un disco che, più che zeppo di classici del country e uscito nel 2022, sembra un disco
di un discepolo di Otis Redding uscito nel 1966. L’impatto è molto piacevole per l’estrema
autorevolezza del suono e delle esecuzioni, febbricitanti al punto giusto, e se dopo qualche canzone
si insinua una spiacevole sensazione di “copia carbone”, questa è superabile se ci si concentra sulle
esecuzioni e sulle canzoni più che sui dettagli degli arrangiamenti e della registrazione (a volte un
certo modo di fare revival mal cela aspetti patologici).
A parte l’iniziale “Mama tried”, forse la più famosa per i non conoscitori del country grazie alle
numerose cover in ambito rock, è per lo più difficile indovinare che si tratti di canzoni di Merle
Haggard e non di Wilson Pickett o di Rufus Thomas, tanto è riuscita l’operazione di
reinterpretazione.
Il che, alla fine, dimostra la grande qualità di queste canzoni, la loro persistente vitalità e la loro
versatilità, nonché – cosa più importante – la capacità di arrivare al cuore dell’ascoltatore senza
pregiudizi attraversando decenni, abiti e stili musicali profondamente diversi.