contenuto a cura di
Francesco Rossi
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Houston, we have a problem“. Sono passati 50 anni da quando Jack Swigert, a bordo dell’Apollo 13, pronunciò questa fatidica richiesta di aiuto al Centro di controllo della base sita nella città texana. Una frase diventata cult senza volerlo. Madre di tutte le situazioni di pericolo, di allarme, che scatta quasi d’impeto come il cane di Pavlov con il campanello (di casa, non d’allarme…).

Ma qual è il problema? È la libertà di stampa in Italia, bellezza! Il Bel Paese non gode di ottima salute. Secondo il rapporto annuale di World Press Freedom Index, l’Italia attualmente occupa la 58° posizione, 17 in meno rispetto al 2020 e 2021. Un “calo di rendimento” preoccupante.

Come si è arrivati a tutto ciò? L’inizio del nuovo secolo si è contraddistinto anche per le numerose invenzioni tecnologiche. Troppa acqua è passata sotto i ponti del progresso e della tecnologia. Sono esplosi internet e cellulari in primis. Arrivati sulla scena quasi come beni di lusso per pochi fortunati (come fossero champagne e caviale), sono rapidamente diventati il pane e salame di tutte le famiglie italiane. Uomini, donne, bambini, nonni e arrotini vari: tutti hanno in tasca telefonino e linea internet. Questo anche grazie al proliferare, come funghi dopo violente piogge, di svariate compagnie telefoniche.

 L’online ha preso piede velocemente, spiazzando quasi di fatto la stampa (intesa come carta, inchiostro e rotative). La platea di internauti dell’informazione si è allargata in maniera sconfinata perlustrando terreni fino ad allora sconosciuti. Terre selvagge e incontaminate, diventate molto presto dominio incontrastato dei leoni da tastiera. Progresso chiama progresso, così nel breve volgere di qualche anno sono giunti i “social network” (dove la “fauna animale” si è centuplicata), piattaforme in cui basta un nickname di registrazione per esprimere il proprio parere, il proprio pensiero. Almeno questa era l’idea iniziale.

Tutta la grande stampa italiana è presente con uno o più profili nel mare magnum dei social. Un mare, però, spesso e volentieri mosso, agitato, divisivo, con i moderatori invisibili pronti alla censura qualora il commento non sia di loro gradimento. La tenaglia dell’assolutismo fantasma (contro cui è impossibile combattere), si è ulteriormente ristretta dopo gli eventi degli ultimi tre anni. Vi è un blocco unico, un monolite su cui sono incise le regole del buon pensatore a senso unico. Una Stele di Rosetta 3.0.

Giornali e editori che fino al giorno prima si facevano la guerra, tutti assieme a comporre una sorta di grande linea Maginot contro le poche voci fuori dal coro a protezione della cortina di ferro venutasi a creare a causa delle enormi divergenze. Oggi il dibattito sembra far paura.

Un fronte comune, tra palco e realtà. E dire che di palchi agli inizi del nuovo secolo ne abbiamo visti parecchi. Erano gli anni della massima espressione berlusconiana di governo. Popolo già in odore di armocromia (viola, arancione, arcobaleno, Elly scansati), girotondini, intellettuali, intellettuali per caso o, addirittura, a loro insaputa. Si era anche evocato l’editto bulgaro. Tutti contro l’allora tiranno di Arcore, il Caimano, il Cavaliere nero reo di controllare e manipolare l’intera informazione italica. Tutti sul palco della libertà di informazione.

Oggi sembriamo aver dimenticato quando su giornali si pubblicavano anche opinioni controcorrente, che dividevano il pubblico dei lettori tra favorevoli e contrari. Oggi il contraddittorio non è più possibile, non lo è stato per virus e vaccini, non lo è neanche oggi per la guerra.

Hai dubbi sulla scienza? Populista (termine che uso solo perché fa figo, è trendy, è politicamente corretto, ma ammetto di non averne ancora capito il reale significato dopo tanti anni), complottista, negazionista, no vax. Ti fai domande sulla guerra? Putiniano, filorusso, complottista, fascista vai ad abitare in Russia.

È la stampa, bellezza!