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Il ritorno in edicola dell’ “Unità”- giornale fondato da Antonio Gramsci nel 1924, come si legge ancora sotto la testata – con alla guida Piero Sansonetti e la direzione politica del “Riformista” affidata a Matteo Renzi, sono un fatto – un unico fatto, come unico é l’editore, Alfredo Romeo – che dà luogo a più letture.

Una é davvero neutra e coincide con una domanda spontanea: c’è una improvvisa reviviscenza dei giornali “politici” magari in format mix tra digitale e carta stampata ? Oppure si tratta di un fuoco di paglia destinato a spegnersi ? Difficile rispondere. Non pare tuttavia che la vampata si possa estinguere per carenza di risorse: all’editore – che nonostante il tourbillon giudiziario ormai alle spalle é un imprenditore solido – le risorse non mancano. Se ha deciso di investire nell’informazione, quattro conti se li sarà fatti.

Certo, é impossibile sostenere il peso di due giornali con i ricavi di vendite e pubblicità: il momento non é tra i più propizi e quindi avrà programmato un investimento che gli dà ritorni “altrove”. Quello più visibile é il suo personale “regolamento di conti” con la mala giustizia: con eccessi ed errori di pezzi della magistratura, specie requirente di cui ritiene di avere fatto le spese. Lo fa quindi individuando nell’informazione un contrappeso, se non un contropotere rispetto al potere dei magistrati ultrà; un potere che, nella lettura che ne fanno i due direttori, Renzi e Sansonetti, deborda in strapotere: ecco allora un’informazione che ha quindi una missione “garantista”.

In questo l’ “Unità”  – che Sansonetti ha presentato a Napoli, città dell’editore – nella visione di “vecchio comunista sempre a favore dell’imputato”, come Piero suole definirsi – non sarà più l’antico quotidiano “degli operai e dei contadini”, antropologie estinte per come erano quasi un secolo fa, quando l’ “Unità” venne fondata; sarà il quotidiano “dei detenuti e degli immigrati” annuncia il direttore, della sinistra che non ha giornali: “radicalmente di sinistra” promette. Vedremo se la costituency da lui immaginata esiste davvero e se diventerà una community di lettori.

Quanto al “Riformista” l’operazione appare più complicata; ma non in ragione dei fondi che pure occorrono per tenerlo in piedi, ma perché é l’unica testata diretta da un leader politico, che come si é visto scrive spesso, alternandosi col “responsabile” Andrea Ruggieri. La sua mission é sempre quella anti-giustizialista. La conferma viene dall’ultimo colpo sparato ad alzo zero proprio da Ruggieri di cui ha fatto le spese Lirio Abbate.

L’ex direttore dell’ “Espresso” si era profuso in un duro – per molti eccessivo e poco fondato –  veto esternato sulle colonne di “Repubblica” contro la nomina di Gianmarco Chiocci al Tg1 e di Chiara Colosimo – deputata molto meloniana – a presidente della commissione Antimafia: il primo é stato accusato da Abbate di avere avuto frequentazioni con Carminati, ma é stato prosciolto in giudizio da ogni addebito; alla “onorevole” di FdI ha contestato relazioni amicali col terrorista nero Ciavardini, in base a una foto di cui però la Colosimo ha fornito una spiegazione convincente.

Ruggieri ha replicato tirando fuori la storia degli “ottimi rapporti” – “parole del Gip”, ricorda – di Abbate con Antonello Montante, “ex Presidente di Sicindustria, ex paladino antimafia condannato due volte per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e accesso abusivo a sistemi informatici”: innocente – scrive il direttore responsabile del Riformista – perché “manca la pronuncia definitiva della Cassazione”, ma col criterio di Abbate, lui stesso “sarebbe messo maluccio”, annota polemicamente.

Nella difesa della Colosimo il “Riformista” ha vestito i panni del “Secolo d’Italia”, il quotidiano di antica tradizione della destra italiana, organo della fondazione Alleanza nazionale, il cui direttore editoriale é Italo Bocchino, presentissimo nelle trasmissioni “La 7”; la linea editoriale del giornale, sulla cui gerenza campeggia una foto di Giorgio Almirante, é quella di sostenere la destra parlamentare e la premier Meloni.

Il “Secolo”, edito solo in versione on line, vanta un’ottima diffusione e costi contenuti; ma di tanto in tanto si parla di un ritorno nelle edicole delle grandi città, per affiancarsi, col suo specifico molto “destro” e “di partito” al network della carta stampata di area centrodestra (Libero, Giornale, Tempo, Verità); il quale sembra avviarsi – a parte il quotidiano di Belpietro – sulla via di un unico grande quotidiano controllato dalla famiglia Angelucci: la strada é stata aperta dalla cessione del “Giornale” da parte della famiglia Berlusconi al noto gruppo imprenditoriale con forti interessi nella sanità.

Insomma, un balletto di testate, politici e imprenditori che anima un pochettino lo scenario pubblico italiano, che in questo momento sembra inchiodato alla figura della premier Giorgia Meloni. Tutto il resto é noia, canta Califano; per non morirne, c’è chi cerca di romperla col giochino dei giornali.